Cannes 2025. La Ola

La Ola **1/2

Presentato nella sezione purgatorio di Cannes Prèmiere, il nuovo film del premio Oscar Sebastian Lelio, scritto con Josefina Fernández, Manuela Infante, Paloma Salas prende spunto dalle diffuse proteste nelle università di Santiago del 2018, sull’onda del #metoo e delle legittime rivendicazioni femminili e femministe, che hanno portato direttamente alla più vasta protesta dell’Estallido Social e alla vittoria di una generazione diversa, quella del trentaseienne Presidente Gabriel Boric.

Il film comincia però in una discoteca, dove la studentessa di musica Julia incontra l’assistente professore Max: i due ballano insieme, poi lui la porta a casa sua e si baciano sul pianerottolo e sulla porta, prima di entrare. Quello che accadrà dopo è la scena mancante, l’ellissi su cui La Ola è costruito.

Secondo Julia, Max si è approfittato di lei, mentre dormiva inconsapevole nel suo letto. Per l’assistente il consenso non è mai mancato.

Questo episodio controverso diventa però il casus belli che coagula le proteste delel studentesse dell’università contro il potere maschile dell’ateneo e la copertura dei tanti predatori sessuali che si annidano nel corpo studentesco e in quello docente.

No è no.

Ma mentre Julia rielabora quello che è accaduto e denuncia alla polizia il suo stupratore, l’università viene occupata da un collettivo femminile improvvisato che raccoglie le denunce delle compagne e avanza richieste di profonde riforme all’ateneo.

Sebastian Lelio sceglie per La Ola la forma ibrida del musical, forse depotenziando nelle semplificazioni di una struttura rigida e nelle parole cantante dai personaggi, quello che avrebbe dovuto restare complesso e soprattutto politico.

Il film per molti versi assomiglia a Emilia Perez di Audiard che riusciva tuttavia a bilanciare perfettamente il coinvolgimento emotivo di un racconto singolare con la dimensione pubblica e culturale e con le necessità proprie di una commedia musicale.

Qui invece Lelio non riesce sempre nell’impresa, anche perché La Ola non trova mai la sfumatura giusta, è sempre troppo diretto e troppo urlato. I numeri quasi sempre di massa sono orchestrati e coreografati con grande maestria, ma finiscono per schiacciare Julia e le altre in una sorta di coro in cui non emerge mai una dimensione autentica e umana.

Certo così Lelio coglie l’energia vitale, la forza giovanile e l’impeto ideale della protesta, in quello che vuole essere un musical militante e spettacolare al contempo.

La stessa protagonista viene così schiacciata dal peso di essere un’icona della protesta, nel ruolo ingrato della vittima. Simbolo che un attimo dopo la vittoria può essere dimenticato ed è lo stesso film a raccontarcelo, consapevole dei suoi limiti e dell’amarezza profonda e malinconica della vita, anche mettendosi in scena direttamente con la rottura della quarta parete e l’ingresso dello stesso Lelio nell’inquadratura, anche a voler rispondere preventivamente alle accuse di essersi appropriato di una Storia altrui.

L’operazione è evidentemente consapevole e pensata, Lelio dimostra ancora una volta di essere un maestro nella messa in scena e di essere in grado di confrontarsi con molti registri diversi. Peccato che questa volta, contrariamente a quanto accadeva in Gloria, Una donna fantastica, Disobedience e The Wonder, il regista perda di vista la dimensione più autentica dei suoi personaggi, l’umanesimo profondo e la sensibilità con cui raccontava i loro affanni, la malinconia dei loro destini.

Rimane il dubbio che questo film parli diversamente a me cinquantenne rispetto a quella generazione che ne è la protagonista assoluta e che la scelta di un certo linguaggio corrisponda all’urgenza di raccontare questa storia con quella “rabbia” che le protagoniste del film scelgono come parola chiave della loro ribellione.

 

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