Cannes 2024. The Seed of the Sacred Fig

The Seed of the Sacred Fig ***1/2

Iman è appena stato promosso in un ruolo simile a quello del pubblico ministero nelle Corti rivoluzionarie iraniane.

Sottoposto alle decisioni politiche del procuratore capo che decide le imputazioni e le richieste di pena, si rende conto ben presto che la sua posizione è piuttosto delicata e un suo passo falso potrebbe costargli il posto.

In un sistema teocratico come quello in vigore a Teheran, chi svolge il suo ruolo è tutelato dal segreto, soprattutto per la propria incolumità.

Sono i giorni che precedono l’inizio dell’anno scolastico e le proteste di donne e studenti si fanno più forti, scatenate dalla morte di una giovanissima ragazza, Mahsa Amini, che la polizia attribuisce ad un improbabile infarto, presa di mira in realtà perché protestava a volto scoperto.

La figlia più grande di Iman, Rezvan, si trova coinvolta nelle manifestazioni quasi senza volerlo e l’amica Sadaf, che è originaria di fuori città e vive nello studentato, viene colpita brutalmente e rischia di perdere un’occhio.

Per sottrarla al carcere e forse alla morte, Rezvan la porta a casa dove la madre le estrae i pallini dal volto e cerca di medicarla, senza che i vicini lo sappiano.

Nel frattempo la pistola che era stata consegnata a Iman per la sua sicurezza sparisce dal comodino in cui la custodiva.

Se si venisse a sapere sarebbe un’onta inaccettabile, capace di vanificare tutta la sua carriera. Con l’aiuto del collega Ghaderi, a cui deve la promozione, e dello specialista in interrogatori Alireza, prima mette sotto torchio i suoi stessi familiari, poi, quando inopinatamente il suo nome viene rivelato all’opinione pubblica, si convince a portare tutti nella sua casa natale, in provincia, dove terrà sequestrate moglie e figlie, fino a scoprire chi di loro ha mentito e sottratto l’arma.

Il film di Rasoulof, girato in condizioni segretissime e quasi tutto in interni, a cavallo della sentenza che lo avrebbe condannato a 8 anni di carcere, spingendolo all’esilio dal suo Paese nelle scorse settimane, è un violento atto d’accusa alla società iraniana, ai suoi metodi oppressivi, alla sua passione per la repressione e la delazione, che mina fin nel profondo ogni struttura sociale, non solo pubblica, ma anche privata.

Scossa dalle ragioni di chi protesta per la libertà di autodeterminarsi, la famiglia di Iman, rigido funzionario cresciuto nell’ortodossia teocratica post-khomeinista, cade letteralmente a pezzi.

Nessuno si fida più dell’altro, bugie, accuse e false confessioni minano qualsiasi idea di verità e i mezzi impiegati dal patriarca per risolvere l’angosciante sparizione della sua pistola di servizio, mostra l’assenza di ogni limite e di ogni dignità umana.

Rispetto ai suoi lavori precedenti, tra i quali il sublime Il male non esiste, Orso d’Oro a Berlino nel 2020, il messaggio di Rasoulof si fa ancor più esplicito: la finzione cinematografica cede il passo alle riprese dal vero, grazie ai telefonini dei testimoni della brutale repressione, lasciando poco spazio alla metafora e alla riflessione mediata.

Le condizioni in cui il regista ha dovuto dirigere e poi montare il film, fuggendo per sempre dal suo Paese per continuare a mantenere viva la sua voce critica, hanno certamente avuto un peso.

Se la prima parte ha un impianto quasi di genere con la sparizione della pistola e l’angosciosa ricerca di quello che diventa uno strumento puramente narrativo per mettere uno contro l’altro figli e genitori, marito e moglie, pur in un contesto in cui la realtà storica bussa alla porta dei personaggi di Rasoulof prepotentemente, nella seconda parte il film non riesce a mantenere lo stesso equilibrio.

E così questo The Seed of the Sacred Fig è più necessario che riuscito, soprattutto quando la famiglia lascia Teheran, la scrittura perde colpi, tra un inseguimento inutile e un lento avvicinarsi al finale, in un labirinto di una vecchia necropoli, che assume un valore sin troppo simbolico. Più compatta la prima parte, in cui il crescendo drammatico si trasforma lentamente in un assedio alla casa di Iman e dentro di essa, con il protagonista incapace di comprendere quanto le bugie del regime in cui vive e lavora non dicano più nulla alle giovani figlie, che sono borghesi, usano internet e le vpn, hanno una cultura diversa e aspirazioni lontane dall’ortodossia oscurantista di cui lui è parte e strumento essenziale.

La forza drammatica e l’assottigliarsi della distanza tra realtà e racconto spingono ad un’adesione emotiva totale, che certo aiuterà il film a trovare il suo pubblico internazionale.

Tra i papabili per i premi maggiori a Cannes 77.

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