Cannes 2024. Beating Hearts – L’Amour ouf

Beating Hearts – L’Amour ouf **1/2

“Mettersi nei guai è una maledizione”

Grande romanzo popolare e criminale, firmato dall’attore Gilles Lellouche e da Audrey Diwan e Ahmed Hamidi, L’Amour ouf è una delle poche belle sorprese del festival.

Esagerato, generoso e massimalista, diretto con mano ferma e spirito indomito, racconta dell’amore impossibile tra Jaqueline e Clotarie, che comincia all’uscita della scuola negli anni ’80.

I due non potrebbero essere più distanti. Lei viene da una scuola privata, veste come una collegiale con la giacca blu e la camicia bianca per andare a scuola, lui invece le scuole le ha mollate da un pezzo e sin da bambino ha imparato a usare le mani per difendere i suoi argomenti.

Lei è orfana di madre e ha un rapporto speciale e maturo con il padre antennista. Lui è uno dei tanti figli di un operaio che lavora al porto.

Si vedo, si scontrano, si piacciono. E’ l’Amour fou, o forse l’Amour ouf che li lega per tutta la vita, anche quando Clotaire, finito in galera per dieci anni, per l’omicidio di un portavalori che non ha commesso, è costretto ad abbandonarla.

Il tempo passa e Jackie si è sposata con il manager di una compagnia di autonoleggio in cui lavorava. Clotaire esce di galera, ma il mondo che trova è molto diverso. Sono gli anni ’90, i poster di Jordan sono il segno di una cultura black ormai dominante.

Il vecchio boss per cui Clotaire ha passato la mano e il figlio si è arricchito con la droga e lo spaccio: “non siamo più criminali, siamo rivenditori”.

Ma quando il protagonista chiede la ricompensa per gli anni trascorsi in prigione da innocente senza mai fare i nomi, il figlio del boss lo fa pestare a sangue. Pessima scelta, perché Cloture è una testa calda, che brucia la sua vendetta ancora calda.

Il film di Lellouche cerca l’epica in una storia ordinaria, immagina una ronde d’amore come se fosse l’ultima possibile, sfruttando sapientemente i generi: non solo il melodramma, ma la crime story e persino un accenno di musical, in due momenti chiave.

Lellouche ha una carriera lunga un quarto di secolo davanti alla macchina da presa, ma questa è solo la sua terza regia e mezzo, dopo l’inedito Narco, il modesto episodio di Las Vegas che chiude Gli infedeli e il divertentissimo 7 uomini a mollo – Le grand bain del 2018.

Assecondando lo spirito indomito dei suoi personaggi, ne fa due caratteri assoluti, amanti contro ogni logica, allontanati dalla vita, ma riavvicinati da un destino comune, diverso da quello che lo stesso incipit del film ci lasciava immaginare.

Il finale pacificato e ordinario forse è la realtà o forse è solo la proiezione del desiderio impossibile di un uomo che muore. Il dubbio rimane, ma non importa, L’Amour ouf è perfetto così, lasciando aperte due strade alternative che rendono meno dolce quella conclusione riconciliata.

Lellouche gira energicamente le scene d’azione e con tenerezza romantica quelle d’amore, ma la sua è tutt’altro che una regia invisibile, che invece si fa vedere e compie continuamente scelte di campo, come nel piano sequenza iniziale, che resta sull’interno di una vettura vuota, mentre l’assalto lo possiamo solo sentire.

Il suo è un film che si muove costantemente a passo di carica, brucia le sue due ore e quarantacinque senza sprecare un minuto, accumulando parole, sangue e pallottole, con la stessa urgenza.

Lellouche sa che sta maneggiando una materia incandescente e non ha paura di rischiare tutto per restituirne la stessa potente vibrazione emotiva. E’ un po’ come quell’eclissi che compare a metà e che rischia di bruciare gli occhi se non la si osserva dietro le lenti scure.

Scritto magnificamente, con una capacità di esaltare i personaggi minori e marginali del racconto, donando spessore e profondità ad ogni carattere, il film vive attraverso le due coppie di attori che interpretano i protagonisti da ragazzini e poi da adulti: Mallory Wanecque e Malik Frikah lasciano il posto a Adèle Exarchopoulos e François Civil.

Ogni film con Adèle è un film imperdibile, fin dal suo debutto a Cannes undici anni fa. La sua presenza è sempre magnetica, conturbante, un ciclone che spazza via ogni cosa e si impone.

E anche questa volta è così: lo sappiamo che nonostante si nasconda un po’ nella tristezza ordinaria del matrimonio con il Jeffrey di Vincent Lacoste, la sua Jaqueline alla fine troverà il modo di assecondare la sua predilezione per i cattivi ragazzi, nonostante i buoni consigli paterni.

Intelligentemente il film lascia che sia lei a plasmare la sua storia, a cambiare chi le sta attorno e a scrivere in prima persona la sua versione.

Il lavoro sugli attori è semplicemente fenomenale e ciascuno riesce ad emergere donando profondità e spessore al suo ruolo, a cominciare dai due ragazzini, che mantengono una continuità fisica impressionante con gli attori che interpretano gli stessi personaggi da adulti, per passare ad un sontuoso Alaine Chabat nella parte del padre e ad una dimessa eppure luminosa Élodie Bouchez in quella della madre.

L’Amour ouf è vitale, ottimista, proletario e sta sempre dalla parte del cuore perché come si fa a resistere ad una vecchia audiocassetta su cui suona “nothing compares to you” di Prince? Quella cassetta sarà la madeleine irresistibile per la sua protagonista, il motivo che la spingerà a fare una telefonata da una vecchia cabina a gettoni a uno dei primi cellulari, in grado di fermare il tempo e riavvolgerne il corso.

Struggente.

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