Confidenza

Confidenza **1/2

Al terzo incontro con i romanzi di Domenico Starnone, Daniele Luchetti torna ancora una volta al racconto di un uomo mediocre, travolto dal suo narcisismo, in modo non dissimile da quanto accadeva in Anni Felici, Io sono Tempesta e in Lacci, che pure era già un adattamento da un romanzo dello scrittore napoletano.

Il protagonista si chiama Pietro Vella. E’ stato un professore di lettere tutta la vita. Lo vediamo ormai anziano in un condominio borghese aprire la finestra e immaginare di volare giù, spinto da una donna misteriosa che lo incita e lo invita a buttarsi: “Vai!”

La figlia Emma è una giornalista famosa che cerca di far avere al padre, amatissimo professore, un premio consegnato dal Presidente della Repubblica. Uno dei requisiti del premio è aver avuto uno studente particolarmente noto, in grado di pronunciare il discorso di consegna del riconoscimento.

Emma cerca di mettersi così in contatto con l’ex alunna, ora celebre matematica, Teresa Quadraro, che insegna al MIT a Boston. La sua email spalancherà un abisso che ci riporta indietro sino agli anni ’70, quando Teresa era una giovane e brillante studentessa, segretamente innamorata del suo giovane e barbuto professore di lettere.

Qualche anno dopo la maturità Pietro viene a sapere che la ragazza invece di laurearsi nell’amata matematica, lavora come cameriera in un piccolo locale di periferia.

Il nuovo incontro è quello decisivo: i due finiscono per stare assieme e Teresa riprende i suoi studi. Quando una sera, dopo un litigio, lei lo spinge a rivelarle il suo segreto più inconfessabile, sussurrandogli il suo all’orecchio, il loro rapporto precipita bruscamente.

All’alba lei lo abbandona. Il tempo passa, ognuno vive una vita in prestito, lontani ma costantemente presenti l’uno nell’esistenza dell’altro, in quella che diventa un’ossessione amorosa per Teresa e un tarlo inestirpabile per Pietro, che teme di perdere tutto quello che ha faticosamente costruito, se il suo segreto venisse rivelato.

Il film di Luchetti ruota interamente attorno a una confidenza che non conosceremo mai. Ma è del tutto evidente che la miseria e la fragilità di Pietro sono al centro del racconto anche se non ci verranno rivelate le sue derive più impenetrabili.

Pietro è un uomo che vive pienamente tutti difetti della sua contemporaneità: è un falso modesto, ambizioso e traditore, vive paure incomprensibili che minano il suo egoismo, ha sempre il timore di essere scoperto, di essere visto per quello che davvero è.

Pietro scrive di una dimensione affettiva dell’insegnamento, ma in fondo con le donne della sua vita mostra solo paure e insicurezze, assieme ad una patologica incapacità di comprendere l’altro nel proprio mondo.

Il leit motiv del film è questa costante idea della caduta dall’alto, ripetuta non solo nel prologo, ma più volte nel corso del film, in modo simbolico ma fin troppo esplicito, a dir la verità.

Elio Germano è formidabile nel rendere il terrore costante in cui sembra vivere Pietro, un impostore sempre sul punto di essere smascherato. Le continue visioni della sua fine e poi la fuga finale sono manifestazioni esplicite di un temperamento intimamente codardo.

La sua è un’esistenza proiettata nel vuoto: nella sua lezione all’inizio del film contrappone amore e paura, ma è evidente che di amore non ce n’è nella sua vita. Una vita che sembra abitare una casa a picco su una scogliera.

Pietro è riuscito a salire la scala sociale grazie alla sua doppiezza, alla sua superficialità, anche alla sua disponibilità. Cosa che alla moglie Nadia, in perenne attesa di una borsa universitaria, non è mai riuscita.

Eppure proprio quando comincia ad assaporare il gusto del successo, con articoli sui giornali e una nuova casa in centro, il fantasma di Teresa ritorna in una fredda serata torinese a riportarlo alle sue ansie di sempre.

Il ritratto di un uomo senza qualità è particolarmente impietoso nel lavoro di Luchetti, perché il film azzera inevitabilmente la dimensione interiore del personaggio romanzesco, schiacciandolo alla sua modestia senza salvezza.

Ma Confidenza non è tanto lo studio di un carattere quanto una radiografia dolorosa di un’intera generazione – quella dello stesso Luchetti – che ha perso ogni dimensione identitaria, ogni obiettivo vero e ogni sincera comprensione umana: non è un caso che alle conferenze di presentazione dei suoi libri, Pietro neghi di avere alcun principio nel suo metodo educativo e si appelli genericamente ad una libertà di pensiero che vuol dire ben poco.

Ma non è solo Pietro ad uscirne a pezzi: la Teresa della rivelazione Federica Rosellini è un personaggio altrettanto problematico, irrisolto, legato in modo ossessivo al suo passato e capace di impostare i rapporti personali solo in un’unica modalità passivo-aggressiva.

Quanto alla moglie Nadia ha sfumature di maggiore complessità, che attenuano il costante sentimento di sconfitta che pure sembra caratterizzare la sua esperienza.

La colonna sonora di Tom Yorke dei Radiohead sottolinea perfettamente questo stato di tensione soffocante che non abbandona mai i suoi personaggi, contribuendo a rafforzare la regia elegante di Luchetti e la fotografia calda e chiaroscurale di Ivan Casalgrandi.

Confidenza è un film sgradevole, urticante, uno specchio che ci rimanda un’immagine troppo a fuoco della nostra mediocrità e che forse preferiamo non vedere.