Il male non esiste

Il male non esiste **1/2

E’ già finita la magia che ha accompagnato Hamaguchi nel biennio 2020-2021 con i bellissimi Drive My Car, premiato con l’Oscar, Il gioco del destino e della fantasia, Grand Prix a Cannes e la sceneggiatura di The Wife of a Spy, premiato a Venezia?

Il suo nuovo Il male non esiste, sembra infatti un lavoro scritto velocemente e chiuso con una fretta inusuale, lasciando più di un interrogativo.

Il film è ambientato nella piccola comunità rurale di Harasawa, un pugno di anime che vivono al ritmo della natura ai confini di un bosco incontaminato.

Qui una società di comunicazione, la Playmode, vuole costruire un glamping che ospiti una sessantina di turisti, proprio in un’area in cui passano i cervi. Inoltre la fossa settica rischia di inquinare l’acqua di sorgente che serve il villaggio e il rischio di falò notturni potrebbe mettere a rischio la stessa incolumità del bosco.

Takumi è una sorta di tuttofare nel paese e nella riunione con i due responsabili del progetto si mostra molto critico, ma anche disponibile ad aiutarli a trovare una soluzione. Per ingraziarsi il villaggio la società pensa di affidargli il ruolo del custode della struttura.

Le cose prendono una piega inaspettata quando Hana, la figlia di Takumi, si perde nel bosco, mentre il padre è impegnato con i responsabili del progetto.

Immerso profondamente nella natura, aperto da un lungo carrello in contre-plongé sul cielo e i rami degli alberi, il film si sofferma a lungo sui rituali di Takumi, che raccoglie l’acqua per il ristorante locale, taglia la legna, insegna alla figlia le differenze tra larici, pini, ciliegi di montagna, aceri a strisce.

A questa prima parte estatica e contemplativa segue una lunga scena con la riunione indetta dai responsabili del progetto, che si scoprono del tutto inconsapevoli della realtà del piccolo paese.

Tuttavia la speculazione deve andare avanti, i fondi pubblici sono stati intascati e troppe modifiche renderebbero il progetto inutilmente costoso. Un po’ di inquinamento è tollerabile, l’invadenza dei turisti può portare benefici a tutti e anche se l’equilibrio ambientale ne soffrirà un po’, non c’è cosa o persona che non possa essere comprata.

Almeno così credono alla Playmode.

Il film è costruito per lunghi piani sequenza, spesso in movimento, anche all’interno degli autoveicoli o in cameracar e sembra dire tutto quello che conta nella prima ora e mezza, in modo semplice, chiaro, perfettamente plausibile. Il talento di Hamaguchi tanto nel racconto per immagini quanto in quelle che usano la parola e lo scambio dialettico è sempre impareggiabile.

Nel finale però Il male non esiste deraglia verso un simbolismo del tutto estraneo al racconto e in una violenza incomprensibile, che forse è il risultato di quello squilibrio che i forestieri hanno portato nel piccolo villaggio.

Tuttavia questa svolta truce e drammatica suona eccessiva, gratuita, segnando uno scarto superfluo rispetto ai temi del film e alla stessa sua dimensione narrativa, che sino a quel momento era stata impeccabile e particolarmente felice.

Hamaguchi pare ad un certo punto tagliare corto, arrivando ad una conclusione brusca, poco costruita, che lascia interdetti e che non ha neppure la forza simbolica della programmaticità.

Il film è piccolo e molto semplice. Tuttavia cercare di deviarne la dimensione minimalista con quel finale sanguinario non pare una scelta coerente e certamente lascia interdetti più che davvero colpiti.

Irrisolto.

Un pensiero riguardo “Il male non esiste”

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