Il nuovo incontro fra Andrew Kevin Walker e David Fincher, a distanza di quasi trent’anni dal seminale Se7en, nasce dall’adattamento di una graphic novel francese di Alexis Nolent del 1998, che racconta di un killer a contratto che si trova a dover fare i conti con il fallimento e con le sue conseguenze.
The Killer segna la quinta collaborazione di Fincher con Netflix, dopo le serie House of Cards e Mindhunter, il biograficoMank e l’animazione Love, Death & Robots.
A Fincher il colosso dello streaming deve il suo primo clamoroso successo e il regista di The Social Network evidentemente ci si è trovato a suo agio, tanto da farne un partner esclusivo nell’ultimo lustro, con risultati francamente alterni.
The Killer è certamente il punto più basso di questa proficua collaborazione, un thriller di vendetta che annoierebbe persino Quentin Tarantino, che del genere è un fan appassionato.
Dopo i peggiori titoli di testa della sua lunga carriera, che sembrano messi lì a bella posta come uno stanco vezzo d’autore, il film chiarisce subito le sue carte. La voce che ascoltiamo è quella del protagonista senza nome, che ci racconta le sue massime nichiliste in una sorta di diario interiore ripetuto come un mantra di autoconvincimento: attieniti al piano, anticipa non improvvisare, non fidarti di nessuno, nessuna empatia, perchè l’empatia è debolezza e la debolezza è vulnerabilità, karma e giustizia non esistono, keep calm & keep moving e soprattutto “non me ne frega nulla” da pronunciarsi quando parte il colpo mortale.
Il film è diviso in sei capitoli e un epilogo e comincia mostrandoci il primo incarico parigino del killer, con le sue attese infinite, tra yoga, riposi programmati, controllo della pressione, proteine a buon mercato.
Quando finalmente il target entra nel mirino del nostro protagonista, il colpo va a vuoto. Lo smacco è significativo per chi si è costruito una carriera sull’infallibilità e l’affidabilità a caro prezzo, ma produce soprattutto una serie di imprevedibili conseguenze nella vita privata del killer. I clienti – non si sa come – risalgono al suo buen retiro in Repubblica Dominicana, torturano la sua fidanzata e gli devastano la villa.
Come un Liam Neeson senza personalità, il buon Michael Fassbinder, tornato a recitare un po’ stancamente, dopo una significativa pausa occupata a metter su famiglia e a correre a Le Mans, si incarica di saldare i conti, risalendo dall’avvocato che gestisce la sua piccola impresa criminale fino al cliente che ha commissionato l’omicidio.
Andrew Kevin Walker lavora in sottrazione e, rispetto ai copioni che l’hanno reso famoso, riduce a zero i dialoghi, ma non si fida di lasciare il suo personaggio solitario in un silenzio naturalistico, e purtroppo lo riempie dei suoi vaneggiamenti paranoici, di cui francamente non ci importa mai davvero.
Se il riferimento di Fincher e Walker era Melville e il suo Jef Costello, l’esistenzialismo misterioso del personaggio di Delon, il suo malinconico spleen imbevuto di significativi riferimenti alla cultura giapponese vengono ribaltati qui in un personaggio di cui conosciamo ogni pensiero, completamente trasparente nella sua meccanicità omicida, portatore di una filosofia risibile da piazzista di terz’ordine.
La natura morale del cinema di Melville la sua profonda, sincera umanità, il suo senso del destino e della sconfitta mal si adattano alla scrittura di Walker, in cui il fatalismo romantico si trasforma in determinismo implacabile e vendicativo.
Nessun colpo di scena, nessuna testa nella scatola, solo un algido campionario di esecuzioni più o meno fantasiose, che il killer esegue con placida serenità e senza neanche troppa fatica, se non quando si trova di fronte ad un energumeno che vive in Florida con il suo pitbull.
Non dubitiamo mai per un solo momento del successo del nostro nè davvero ci importa qualcosa, perchè è difficile parteggiare per un killer sociopatico che uccide a sangue freddo, tanto più che nulla sappiamo e nulla sapremo dei suoi clienti e della sua vittima, scampata all’agguato. The Killer è talmente insipido che non ci dà davvero nulla per cui palpitare, lasciando fuori scena anche l’assalto alla sua villa dominicana.
Fincher gira con la mano sinistra ed anche così la messa in scena è quasi una lectio magistralis, particolarmente efficace nell’inizio anti-hitchcockiano come nella fuga che comincia su un motorino elettrico e poi si sposta su più mezzi diversi, nell’orchestrazione di un corpo a corpo tutto in interni casalinghi come nell’uso tensivo del campo e controcampo, durante l’incontro tra Tilda Swinton e Fassbender.
Tuttavia questo da Fincher non solo ce lo aspettiamo, ma lo diamo per scontato.
Come accade ormai con inesorabile puntualità i film Netflix si rivelano stanchi esercizi di stile per autori troppo testardi o senza più molto da dire.
Fincher purtroppo non fa eccezione: questo The Killer è uno specchietto per le allodole che ribadisce forse solo l’istanza nichilista sottesa a gran parte della sua produzione meno ispirata.
Il piacere si esaurisce nella visione e alla fine non resta davvero nulla.
Dimenticabile.

