Guardiani della Galassia Vol. 3

Guardiani della Galassia Vol. 3 **1/2

L’avventura finale dei Guardiani della Galassia firmata da James Gunn, prima di passare alla concorrenza della DC con il ruolo di deus ex machina dell’universo narrativo di Batman e Superman, è senza dubbio la più personale: una sorta di canto d’addio e di dichiarazione poetica, in cui il regista cresciuto alla Troma mette tutto il suo spirito artigianale e il suo abbraccio umanista.

Se Peter Quill sta ancora elaborando il lutto per l’addio di Gamora – come avevamo già potuto vedere nel gustoso special natalizio per Disney+ con Kevin Bacon – i suoi compagni Guardiani si trovano ad affrontare l’attacco di Adam Warlock, un guerriero tanto potente quanto ottuso, creato dalla regina dei Sovereign Ayesha, per distruggere Knowhere.

Rocket Raccon rimane ferito gravemente e nel tentativo di curarlo Nebula scopre che occorre recuperare una password custodita nel quartier generale dell’Alto Evoluzionario, uno scienziato folle e visionario che ha creato il procione senziente con i suoi esperimenti.

Di flashback in flashback il film ricostruisce così le crudeltà atroci che Rocket e gli altri animali hanno dovuto subire, in un processo di eugenetica e di sperimentazione selvaggia, per creare quella razza superiore docile e intelligente, con cui l’Alto Evoluzionario ha popolato la Contro-Terra.

Ma se Peter, Drax, Groot e gli altri cercano di recuperare la password, con l’aiuto della Gomora arrivata dal passato in Endgame, senza ricordare in nulla il personaggio originario amato dal protagonista, l’Alto Evoluzionario è alla ricerca di Drax per utilizzarlo nei suoi nuovi atroci esperimenti.

In modo simile a quanto tentato con Suicide Squad, anche questa volta Gunn cerca una strada personale al racconto d’avventura spaziale, mescolando con maggiore competenza e affinità, l’ironia e il nonsense all’afflato melodrammatico, la denuncia animalista e antispecista al grande spettacolo popolare, in cui la musica del novecento continua ad avere un ruolo centrale, grazie alle tracce contenute nel simil-Ipod di Peter.

La storia d’origini pensata per Drax è straziante e brutale, ma consente la creazione di un altro villain formidabile e scomodo quanto il Thanos degli Avengers: l’Alto Evoluzionario è un Titano che si è spinto un passo oltre, un visionario che in nome del progresso e della ricerca ha dimenticato la sua umanità erigendosi a sovrano e creatore, animato da una hybris senza più limiti.

Gunn tuttavia non dimentica le sue origini nel cinema di serie Z e crea un quartier generale che sarebbe piaciuto a Cronenberg, fatto di carne e tessuti, lo riempie di creature mostruose ma anche docili, assai poco affascinanti, usando spesso l’ironia nel suo spettro più ampio, sino al ridicolo, come nelle apparizioni di Adam Warlock, tanto potente quanto stupido.

Se il primo film era un racconto di madri perdute e rimpiante e il secondo di padri cercati e inadeguati, questo terzo capitolo è il più esplicito nel dare spessore psicologico alla famiglia allargata dei Guardiani, in cui ciascuno porta le proprie frustrazioni personali e cerca il conforto di un legame più vero di quelli di sangue.

Inno umanissimo all’amicizia, alla fratellanza di spirito tra diversi, alla condivisione delle responsabilità, questo terzo volume dei Guardiani della Galassia è destinato a rinverdire il successo dei precedenti e a rilanciare le sorti della Marvel, decisamente appannate nell’ultimo lustro.

Diversamente dal passato, questa avventura ha però il sapore del finale di partita, concludendosi con una lunga teoria degli addii, un po’ come avveniva in Endgame, anche se il messaggio post-crediti preannuncia un prossimo (?) ritorno dei nostri eroi.

E’ giusto tuttavia che il lavoro di Gunn si chiuda circolarmente riportando Peter là dove tutto era cominciato.

Naturalmente non tutto funziona perfettamente, la dimensione narrativa è un po’ tagliata con l’accetta e i flashback inseriti senza troppe cerimonie. La parte action è invece almeno competente e usa lo slow motion in funzione creativa, senza annegare l’occhio dello spettatore nella superfetazione degli effetti speciali dozzinali a cui la Marvel ci ha purtroppo abituato.

Interessante anche l’uso della musica che si muove tra campo diegetico ed extradiegetico, in modo molto originale, giustificando così il suo uso fin troppo estensivo.

Tra gli attori spesso mascheratissimi, il duo composto da Dave Bautista e Pom Kementieff (Drax e Mantis) è formidabile e funziona con la stessa tenerezza stralunata di R2D2 e C3PO.

Non meno divertente la coppia più marginale Sean Gunn-Maria Bakalova nei ruoli dell’insicuro e allampanato Kraglin e del cane spaziale sovietico Cosmo.

Qualcuno invece storcerà il naso sulla caratterizzazione di Warlock e di Ayesha, ma fa parte del grande gioco messo in piedi da Gunn.

Lo stratagemma narrativo di una nuova Gamora, lascia infine a Zoe Saldana e a Chris Pratt materiale su cui rinverdire un duetto sentimentale altrimenti già troppo scritto.

Chiusa la lunga parentesi Marvel, Gunn ora è chiamato alla DC ad interpretare il ruolo che Kevin Feige si è costruito alla Casa delle Idee negli ultimi quindici anni.

La distanza tra i due universi narrativi non potrebbe essere più grande, accentuata dalle scelte cinematografiche compiute nel passato. Lo attendiamo alla prova, tuttavia se riuscisse ad infondere ai suoi nuovi progetti quello spirito che ha saputo valorizzare nei Guardiani, riuscirebbe almeno ad umanizzare un po’ i semidei distanti e vendicativi della DC.

Bisognerà attendere un paio d’anni per capire se il nuovo corso sta funzionando, nel frattempo la Marvel sarà già altrove, implacabile macinatrice di storie e personaggi.

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