Il terzo capitolo delle nuove avventure di Spider-Man, diretto ancora da Jon Watts e scritto dalla coppia Chris Mckenna e Erik Sommers, dopo l’accordo tra Sony e Disney, è diventato testata d’angolo nella costruzione della quarta fase del Marvel Cinematic Universe.
Tony Stark era stato per il giovane e confuso Peter Parker di queste avventure, un mentore e una figura paterna, capace di affiancare zia May nella sua costruzione identitaria con il costume e senza.
Già il precedente Far From Home era ambientato nel tempo successivo a Endgame, spostandosi così a Londra, per alleviare il peso dell’elaborazione del lutto.
Tuttavia quando, alla fine del film precedente, Quentin Beck/Mysterio e J.J.Jameson del Daily Bugle rivelano al mondo l’identità di Spider-Man, manipolando i filmati dell’attacco di Londra, per addossargli la colpa di morti e distruzioni, Peter, Zia May, Happy, MJ e Ned vengono arrestati dai federali e le domande di ammissione dei ragazzi al MIT di Boston respinte, senza motivo.
Afflitto dal senso di colpa per aver rovinato la vita dei suoi amici, Peter si rivolge al Doctor Strange, per cercare di capire se si possa tornare indietro nel tempo o anche solo, con un incantesimo, far dimenticare a tutti la rivelazione sull’identità di Spider-Man.
Strange accetta di aiutarlo, ma durante la magia le cose non vanno come immaginato, si aprono portali di multiverso e una serie di personaggi che conoscono “Peter Parker” si riversano nella realtà abitata dai nostri eroi.
Se non volete leggere spoiler e altre anticipazioni fermatevi qui e continuate la lettura solo dopo aver visto No Way Home.
Ricompaiono così il Dottor Norman Osborn/Green Goblin, Otto Octavius/Doctor Octopus, Flint Marko/Sandman, Curt Connors/Lizard, Max Dillon/Electro e non solo loro.
Ciascuno è morto per mano di Spider-Man nel proprio universo, Strange ha immaginato un arma per imprigionarli e rispedirli indietro, ma quando Spider-Man capisce che il ritorno rappresenta per loro la morte, spinto dalle parole di Zia May, che lavora in un centro di accoglienza, decide di fare qualcosa di diverso, cercando una cura, che li liberi dalla maledizione a cui sono legati.
Imprigionato Strange nelle sue stesse magie, Peter avrà un aiuto importante da nuovi imprevedibili alleati.
Il copione di questo terzo capitolo ha le dimensioni narrative e produttive del grande finale di partita, capace di raccogliere l’eredità di vent’anni di avventure provocando una tempesta emotiva a cui difficilmente si riesce a resistere.
Se lo Spider-Man di Raimi aveva assunto, soprattutto nei suoi primi due episodi, la dimensione di progetto fondativo di quella che sarebbe poi diventata grazie a Kevin Feige la più grande macchina spettacolare del cinema americano del nuovo secolo, assai più modesto era stato il tentativo di rilanciarne avventure, affidato a Marc Webb. L’accordo con la Marvel per riassorbire la diaspora del personaggio, l’unico ancora legato alla Sony Columbia, l’ha finalmente riportato al centro dell’universo anche cinematografico della Casa delle Idee, lì dove dovrebbe stare e dove è sempre stato nelle intenzioni di Stan Lee.
Con questo No Way Home, tutto sembra acquistare senso e come avviene per le avventure firmate dalla Marvel, ogni personaggio deve trovare la sua collocazione nel grande masterplan di Feige.
Anche questo film è quindi l’occasione per far entrare alcuni personaggi che hanno avuto incarnazioni solo televisive, altri che sembravano lontani nel tempo e nello spazio.
Questo grande tentativo, ordinatore di universi narrativi, è gestito ancora una volta con grande equilibrio e cura, senza mai forzare troppo la sospensione dell’incredulità e privilegiando sempre la semplicità del racconto.
Qui Watts, sia pure introducendo l’idea dei multiversi e del viaggio nel tempo, già accennata altrove, negli Avengers e in Wandavision, ne lascia l’esplorazione teorica al prossimo film del Doctor Strange, curiosamente diretto proprio da quel Sam Raimi da cui tutto era cominciato.
No Way Home preferisce invece approfondire l’aspetto sentimentale dei personaggi, il dolore, la frustrazione, le speranze, la volontà. Riportando infine il nuovo Peter Parker a quella dimensione originaria che aveva nei fumetti: il supereroe con super problemi, il nerd solitario del Queens.
Risuona anche il monito morale – da grandi poteri derivano grandi responsabilità – che da sempre ha plasmato l’etica del personaggio e che di certo non poteva essere lo sbruffone Tony Stark a suggerirgli.
Con grande intelligenza, dopo aver aperto il vaso di pandora e convocato sulla scena tutta la storia – almeno quella cinematografica – del personaggio, Watts ce lo riconsegna alla fine più solo e malinconico che mai, costretto a sacrificare se stesso per preservare l’unità del proprio universo.
La scelta narrativa apre scenari nuovi, lontani dalla dimensione collettiva degli Avengers.
Non c’è alcun dubbio che il film sarà il più grande successo dell’anno e probabilmente il più importante dall’inizio della pandemia, perchè riesce a parlare ad almeno un paio di generazioni di spettatori, sia quelli più giovani, che hanno scoperto il personaggio solo nell’ultima incarnazione cinematografica, sia a quelli che invece ricordano quel primo trailer del 2001, in cui le Torri Gemelle fungevano da elemento iconico tristemente centrale.
Occorreva una certa grazia per consentire una pacifica integrazione di mondi cinematografici così lontani e Watts, Feige e i loro collaboratori l’hanno certamente trovata.
Come al solito sui titoli di coda abbiamo un’anticipazione di quello che verrà con un nuovo/vecchio villain che decide di convergere su New York continuando così l’opera di integrazione di mondi narrativi solo apparentemente distanti.
Alla fine troviamo invece una sorta di trailer di Doctor Strange in the Multiverse of Madness, che uscirà a maggio 2022.