The Eddy

The Eddy **

Un lungo piano sequenza notturno all’interno e all’esterno del piccolo club jazz parigino, chiamato The Eddy, ci introduce ai personaggi e alle storie di questa serie.

Il protagonista è Elliot Udo, un noto pianista e polistrumentista newyorkese, che dopo la morte del figlio, non riesce più a suonare ed ha abbandonato la Grande Mela, per rifugiarsi in una sorta di autoesilio a Parigi.

Qui ha formato la band che si esibisce tutte le sere e dà il nome al locale, in cui canta Maja, una bionda di origini polacche, che con Elliot ha condiviso molto più del palco. Tra di loro tuttavia la relazione è quanto mai turbolenta.

Il locale è gestito da Farid, socio di Elliot ed estroso musicista a sua volta, che tuttavia nasconde conti opachi e affari sporchi con la criminalità locale.

Le cose precipitano quando Julie, la figlia adolescente di Elliot, si trasferisce dal padre a Parigi, e uno dei personaggi principali viene ritrovato morto, lasciando sulle spalle del protagonista, il fardello di raccogliere i pezzi della propria vita, andata in frantumi sulla scena e nel privato.

La polizia indaga sul delitto e i criminali, che ruotano attorno al locale, vogliono dei soldi che Farid aveva nascosto per loro e che non si trovano più. Nel frattempo Elliot è impegnato a chiudere un contratto per la sua band con un’etichetta francese, piccola, ma prestigiosa.

La prima incursione di Damien Chazelle nelle serie tv è firmata Netflix e arriva con il carico di attese, che ormai accompagna sempre i lavori del più giovane vincitore del Premio Oscar per la migliore regia con La La Land.

I due episodi che ha diretto sono quanto di più distante ci possa essere da ritmi e rituali della serialità televisiva, a cui siamo ormai abituati. Fotografia scurissima, notturna, sgranata, camera a mano a raccogliere fumi e vibrazioni del palco e dei suoi protagonisti, restituendo tutta l’ambiguità possibile ai suoi personaggi.

Narrazione ellittica, dai tempi dilatati, piena di non detti, che lasciano incerti sulle motivazioni e il passato dei personaggi. Avvolto nel nero della notte, ciascuno nasconde segreti e bugie, che scopriremo solo nel corso della stagione, ma molte cose restano irrisolte.

Il francese e l’inglese si confondo nelle parole dei protagonisti e si mescolano al polacco e all’arabo, quasi che fossero una lingua sola, un’esperanto musicale, capace di restituire la pluralità vitale e multietnica del piccolo microcosmo di coloro, che gravitano attorno al The Eddy.

Grandissimo spazio ai numeri musicali, che vengono ripresi quasi per intero, come parte integrante della narrazione di una serie, che non è e non vuole essere un musical, ma che vuole invece respirare la stessa libertà di certo cinema francese degli anni ’60, magari filtrato dalla sensibilità, che John Cassavetes utilizzava negli stessi anni, per dirigere i suoi film.

La sensazione che lasciano i primi due capitoli di The Eddy è quella di un esperimento, molto lontano anche dalla drammaturgia forte e risoluta dei film di Chazelle, di solito incalzante e irrequieto e qui invece capace di assecondare il modo con cui i suoi personaggi restano semplicemente a galla, nella loro vita complicata.

Ogni episodio è dedicato ad uno dei personaggi: il primo e il secondo portano il nome di Eliott e della figlia Julie, l’ultimo quello del locale The Eddy: come se dopo l’introduzione al tema principale, si alternassero una serie di assoli, per poi ritornare, in chiusura, alla melodia iniziale.

Tuttavia dopo gli episodi di Chazelle quelli affidati a Houda Benyamina (Divines), Laïla Marrakchi (Le Bureau des Légendes) e Alan Poul (Tales of the City) rientrano da molti punti di vista nell’ordinarietà seriale e sono afflitti da una sceneggiatura fragile, slabbrata, che sembra andare per le lunghe, perdersi in detour inutili e un po’ puerili, salvo poi rientrare nei ranghi, per far proseguire un racconto, che si muove poco e chiude assai meno.

Eppure non è solo la debolezza delle scelte narrative a rendere inconsistente la serie, bensì anche la banalità dei dialoghi e delle situazioni, tutte da manuale. Un’infilata di cliché, dalla figlia problematica che si mette sempre nei guai, al musicista tossico dal cuore d’oro, dalla ex moglie ricchissima e glaciale, all’amante incasinata, che ha bisogno di affetti e sicurezze sul palco e nella vita, dal partner bugiardo e pieno di guai, alla criminalità che cerca posti dove riciclare denaro sporco.

Scritta da Jack Thorne (SkinThis Is England, Wonder, The Aeronauts), la serie arranca anche perchè si fatica ad entrare in sintonia con il protagonista Elliot, anaffettivo, introverso, ombroso, incapace di suonare, padre mediocre, amante senza amore, bugiardo seriale, chiuso nei suoi problemi in modo tetragono.

Eppure, in questo modo, esclude dalla sua vita non solo le persone che lo amano, ma anche gli spettatori stessi, che rimangono per lo più freddi di fronte ai casini in cui finisce, per una serie di errori e silenzi testardi.

Peccato sprecare un cast pieno di nomi e volti perfetti, costretti a recitare battute di quart’ordine.

Non aiuta peraltro neppure la musica, che la serie utilizza con grande generosità, ma che è riassumibile tutta in quell’easy listening, che della genialità, tra follia e rigore del jazz non ha molto e che non fa scaldare i cuori neppure degli appassionati, senza disturbare quelli degli altri.

Un esperimento riuscito solo a metà. Il finale aperto lascia la possibilità di una seconda stagione: francamente non ne sentiamo il bisogno.

Titolo originale:  The Eddy
Numero degli episodi: 8
Durata media ad episodio: 60 minuti circa
Distribuzione: Netflix dall’8 maggio

CONSIGLIATO: a coloro che amano il cinema francese, la musica jazz e non hanno paura delle narrazioni ellittiche, dilatate, lontane dalle formule seriali.

SCONSIGLIATO: a coloro che non amano “gli assoli di batteria”, come dice il musicista pop interpretato da Tchéky Karyo all’inizio del quinto episodio.

VISIONI PARALLELE:

  • Ascensore per il patibolo di Louis Malle con le musiche di Miles Davis. In soli 88 minuti e con gli stessi elementi, un capolavoro inarrivabile.
  • La La Land: se proprio volete vedere un lavoro di Damien Chazelle, tornate a vedere il suo film del 2016. Anche lì, il protagonista Sebastian sogna di mettere in piedi un club jazz a Los Angeles.

UN’IMMAGINE: Il piano sequenza iniziale, che apre il primo episodio. Le cose buone di questa serie sono tutte lì, in quel tentativo febbrile di raccontare un’atmosfera e un mood. 

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