Il suo ultimo desiderio

Il suo ultimo desiderio *

Tratto dal romanzo omonimo di Joan Didion, una delle voci più importanti del new journalism americano degli anni ’70, Il suo ultimo desiderio è il quarto film di Dee Rees, il secondo per Netflix, il terzo complessivamente che evita l’uscita in sala, dove solo il suo esordio Pariah del 2011 si è misurato.

Eppure la Rees, per il polpettone indigesto Mudbound, ha avuto una incongrua nominations agli Oscar, che le ha garantito nuove chances e una certa libertà, per questo adattamento prestigioso, con un super cast guidato da Anne Hathaway, Ben Affleck e Willem Dafoe.

Il risultato è un pasticcio inenarrabile, senza capo nè coda, ambientato nel centroamerica di metà anni ’80, sullo sfondo dello scandalo Iran-Contra, che avrebbe travolto la presidenza Reagan.

La protagonista è una giornalista di guerra, Elena McMahon, che dopo aver realizzato reportage dal Salvador viene costretta dal suo giornale ad occuparsi della campagna di rielezione del presidente cowboy.

Tuttavia quando il padre, evidentemente affetto da una qualche malattia degenerativa, la coinvolge nei suoi traffici loschi, mandandola in Costarica su un volo segreto, con un carico di armi militari da consegnare non si sa bene a chi, Elena – ovviamente! – non ci pensa due volte e finisce in mezzo ad un intrigo in cui milizie, CIA, terroristi e polizia locale deviata, giocano tutti un ruolo.

Solo che Elena non lo capisce per niente e anche noi spettatori brancoliamo con lei nel buio più fitto, tra personaggi che sembrano amici e poi non lo sono, assalti, attentanti, sangue, morti, doppi e tripli inganni, che dopo 20 minuti di film lasciano già completamente inerti e disinteressati.

Il film gira a vuoto come la protagonista, che finisce in una storia più grande di lei senza alcun vero motivo logico.

Anne Hathaway ce la mette tutta, ma francamente si nota subito che neppure lei ha compreso alcunchè della sceneggiatura scritta dalla Rees con Marco Villalobos.

Si limita così ad attraversare il film con sguardo corrucciato e passo veloce, facendo la morale a tutti i co-protagonisti, i quali ovviamente hanno ben altri obiettivi, trafficando in armi, droga ed esseri umani, senza molti problemi.

Il racconto è così inutilmente contorto da sembrare persino denso all’inizio, salvo svelare via via la sua più completa inconsistenza e rifugiandosi in continui spiegoni in flashback, per consentire allo spettatore di raccapezzarsi almeno un po’ nel guazzabuglio messo in piedi dalla Rees.

La tortura, fotografata da Bobby Bukowski con colori caldissimi e ultravividi, buoni forse per testare i settaggi del proprio televisore, si prolunga per quasi due ore di vuoto pneumatico spinto.

Evidentemente la regista di Nashville ha una passione per il melò a tinte fosche, ma i suoi drammoni hanno il sapore delle telenovele brasiliane, piene di foschi secreti che lasciano sempre uno stucchevole sapore in bocca.

Quanto al tuffo nell’oceano finale della protagonista, realizzato a computer, è cosa talmente ributtante da lasciare purtroppo un segno piuttosto marcato nella memoria di chiunque ne sia testimone.

La povera Joan Didion, che pure assieme al marito John Gregory Dunne ha regalato al cinema le sceneggiature di Panico a Needle Park, E’ nata una stella, L’assoluzione, Qualcosa di personale, temo non sia stata troppo contenta di questo sciagurato adattamento, che pure negli Stati Uniti hanno stroncato senza pietà.

L’unico a salvarsi è come al solito Willem Dafoe, nel ruolo del padre rincoglionito della protagonista, che almeno ci mette il suo minimo sindacale di sguardi folli e sorrisi diabolici: la Rees peraltro gli regala un’uscita di scena assai poco cerimoniosa e fuori campo, nonostante il suo sia il vero deus ex machina di tutta la storia.

In questi giorni di cinema chiusi avremmo voluto segnalarvi un buon film da recuperare su Netflix, ma francamente vi risparmieremmo volentieri Il suo ultimo desiderio: quello della protagonista, alla fine, non abbiamo capito davvero quale fosse; il nostro, invece, è quello di dimenticarlo in fretta.

E tu, cosa ne pensi?

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.