Con Schwesterlein – My Little Sister, la coppia di registe Véronique Reymond e Stèphanie Chuat racconta l’affetto che unisce un fratello e una sorella in un momento tragico, ma parla anche di identità, di come rimanere sè stessi quando vengono a mancare punti di riferimento e dell’importanza della finzione, che si concretizzi in una favola o in un monologo recitato su un palco.
“Quando interpreto un ruolo mi sento davvero pieno di vita, paradossalmente mi sento molto più me stesso quando recito”, spiega il protagonista Lars Eidinger, “quando indosso i panni di Amleto divento Lars, più di quanto non mi succeda camminando per strada. C’è una particella di questa tematica nel film, la distinzione fra realtà e fiction diventa sempre più sottile. Il mio personaggio, Sven, vorrebbe morire sul palco, il responsabile del teatro per cui lavora dice che sarebbe osceno, io in questo esaurirsi dei confini invece vedo della poesia”.
Il ricordo dell’infanzia e la dimensione della nostalgia sono molto forti, tanto che nel film recitare diventa un modo per giocare, ridurre la portata drammatica degli eventi: “Ho la sensazione che la morte renda tutti bambini, degli esseri piccoli e impauriti che cominciano a credere a storie assurde, che all’improvviso non trovano più ridicolo pensare a un tristo mietitore con falce e mantella nera”, continua Eidinger, “si può reagire solo non perdendo di vista il lato comico delle cose, bisogna ricordare che abbiamo sempre un margine per rifugiarci in uno spazio felice”.
Interviene la coprotagonista Nina Hoss per raccontare come ha lavorato sul legame fra il suo personaggio e quello di Eidinger: “Mi sono chiesta come ci si sente a perdere una parte di sé, ho trovato il senso del film nel suo finale, il loro legame è così forte che lui può andarsene solo quando lei ha ritrovato sé stessa, sono vasi comunicanti e l’energia di uno è perfettamente percepita dall’altro”, spiega.
Chiude Eidinger: “In una delle scene Sven è impaurito, è in un momento di dolore estremo e comincia a emettere suoni quasi inumani. È folle esprimere con la voce qualcosa di così intenso. Quando lo stavo facendo ho visto che Nina lo accettava e riusciva a seguirmi. La difficoltà di recitare con un cast è che fai qualcosa e puoi renderti ridicolo, ma se hai intorno una famiglia che ti capisce e ti supporta puoi continuare a scavare nel personaggio all’infinito e il risultato finale ne esce potenziato”.