Noi siamo L’Onda. La rivoluzione giovanile ha le polveri bagnate

Noi siamo L’Onda **

Dodici anni fa, era il 2008, il film L’Onda girato da Dennis Gansel riscuoteva un ottimo, insperato successo al botteghino e divideva la critica cinematografica. All’autore del controverso NaPolA – I ragazzi del Reich (2004) alcuni riconoscevano una presa di posizione netta e inequivocabile contro l’insorgenza del neonazismo, altri scorgevano una sottile fascinazione per quegli stessi meccanismi di costruzione del consenso che venivano stigmatizzati. Per quanto probabilmente sopravvalutato, L’Onda, ispirato a un esperimento sociale condotto in California negli anni Sessanta e basato, almeno in parte, sull’omonimo romanzo di Todd Strasser, è un tassello della cinematografia germanica degli ultimi vent’anni. Il regista tedesco ritorna, ora, nella serie Netflix che da quel film prende le mosse, nelle vesti di produttore esecutivo.

Toccare l’argomento “nazismo” in Germania è ovviamente operazione delicatissima. Cominciamo col dire che in Wir sind die Welle, girata nella primavera del 2019 in varie località tedesche e ambientata nell’immaginaria città di Meppersfeld, ha l’ambizione di citare l’attualità. C’è un partito in ascesa tanto simile all’AfD e ci sono gruppuscoli giovanili che aspirano a risollevare la nazione tedesca dal suo stato di depravazione e corruzione, rispolverando il buon vecchio nazionalismo di una volta. Ci sono istituzioni molli, deboli, incapaci di difendere gli ultimi e c’è uno stato sociale in via di smantellamento. C’è una scuola di impronta umanistica, equivalente a un liceo classico, dove, ad esempio, si studia la Storia dell’occupazione francese in Algeria, con tanto di considerazioni critiche sugli orrori del colonialismo, eppure è svalutata la riflessione sul presente.

All’interno della costellazione scolastica, troviamo, sagomate con nettezza anche eccessiva, figure del nostro tempo: da una parte, i rampolli della buona borghesia locale, ovvero rich kids odiatori di “zecche”, prototipi di una gioventù dorata incline alla violenza contro l’elemento “impuro”; dall’altra, gli scarti della società, soggetti derisi, un catalogo di diversità, che annovera l’immancabile figlio di immigrati (Rahim), il ragazzo bruttino e sovrappeso (Hagen), la tizia non integrata e un po’ fuori di testa (Zazie): nel mezzo, gli ignavi. In questo clima, in potenza esplosivo, manca solo l’agente del caos. Ecco quindi che Tristan Broch, ragazzo problematico, enigmatico, duro, dal sicuro carisma, con esperienze di lotta non taciute, piomba nella classe ad anno già iniziato. Tristan sembra venire da un altro pianeta. I soggetti “difficili”, i perdenti, lo prendono subito a riferimento e lui non disdegna le loro attenzioni. Anzi, come un ragno al centro della tela, inizia a tessere le sue trame, con consumato mestiere, attendendo paziente l’arrivo dei rinforzi. Tristan ha un piano che gradualmente ci viene svelato. Tra i sedotti c’è Lea, ragazza benestante e irrequieta. Lea sarà il trait d’union tra istanze e mondi distanti.

Noi siamo l’Onda cambia le carte in tavola rispetto ai modelli di partenza, un rimescolamento narrativo che incuriosisce e disorienta lo spettatore. Se nel film il protagonista era un insegnante spregiudicato e amorale, nel prodotto Netflix il demone dostoeskviano è incarnato da un giovane ribelle schierato, per schematizzare, a sinistra. La serie, ascrivibile al genere young adult, strizza l’occhio ai movimenti di massa emergenti, in primis all’ambientalismo promosso ai quattro angoli del pianeta da Greta Thurnberg. Il suo target, i lettori ci perdoneranno l’uso e abuso dell’etichetta, è un pubblico ben definito: i millennials. Tuttavia, la serie ricicla qualche suggestione supplementare. Noi siamo l’Onda, è appena il caso di sottolinearlo, riecheggia lo slogan “Noi siamo il 99 per cento” coniato durante le proteste di piazza di inizio anni Duemila contro la finanza dell’1 per cento e, in generale, contro il capitalismo selvaggio di Wall Street. Inoltre, nel decennio che ci separa dalla traduzione cinematografica del romanzo di Strasser, molto è cambiato nella percezione comune del pericolo estremista. Uno scoglio che non possiamo evitare è proprio il seguente: il ritorno del fascismo, quantomeno di una sua versione postmoderna, da eventualità scandalosa sondata in isolati esperimenti, è oggi un tema ampiamente oggetto di dibattito nei talk show e nelle querelle politologiche sulla crisi delle democrazie occidentali. L’Onda rappresentava gli esiti negativi di un test di resistenza al male e metteva in guardia sulla tendenza dell’uomo medio alla deresponsabilizzazione. Noi siamo l’Onda ci suggerisce che la società liberale è prossima al fallimento e l’antica democrazia rappresentativa è sepolta sotto un cumulo di frustrazioni.

Ogni movimento, per crescere, fa fede sul proselitismo. Quando si tratta di raccogliere nuove energie e motivarle all’azione, il messaggio dei cinque giovani rivoluzionari, in particolare di Lea, è perentorio: pensate a ciò che odiate e combattetelo. Messaggio azzardato. I nazisti non basavano le proprie azioni sul medesimo sentimento, elevato a movente unico e assoluto? Noi siamo l’Onda raffigura il movimentismo giovanile come un cespo di individui agitati da ragioni diverse, sostanzialmente private, in attesa di un guru che mostri loro il cammino della rivolta. Rahim fronteggia gli speculatori immobiliari che insidiano l’appartamento della sua famiglia, Hagen punta il mirino sulla grande industria cartiera che ha inquinato i campi coltivati dai genitori, Zazie impara a rispondere agli attacchi di bullismo sessista e in un gesto simbolico si taglia i capelli per assomigliare a un vero soldato, per Lea la felicità significa deviare dal sentiero di una tranquilla esistenza borghese tutta studio-tennis-carriera-matrimonio. Tristan culla invece un desiderio di vendetta, tremenda vendetta. Si fa fatica, però, a provare empatia per i cinque ragazzi mascherati.

Tristan trascorre le sue notti in un carcere minorile e parla in sogno con sua madre, morta in circostanze tragiche. Veniamo a conoscenza dei drammatici antefatti grazie a dei flashback che spezzano la fluidità del racconto. Tristan, il classico manipolatore da manuale di psichiatria, cela con cura la motivazione squisitamente personale alla base del suo rancore. Certo, i produttori di armi fanno schifo, ma Tristan sarebbe stato ugualmente determinato a compiere un atto terroristico se sua madre, militante in una ONG, non fosse stata assassinata durante una missione umanitaria nel Sudan da proiettili provenienti illegalmente da quella fabbrica? L’eccesso di didascalismo è un limite della serie. Noi siamo l’Onda denuncia il rischio che gruppi e organizzazioni, anche di recente conio, possano essere erose dal tarlo della mistificazione. La sola a maturare e a superare gli egoismi, inserendoli nel contesto più ampio della sfera pubblica, è Lea, l’insospettabile adolescente, coccolata e caruccia, che instaura un rapporto dialettico, di pura contraddizione, con la sua classe di appartenenza. Lea colpisce al cuore la sua famiglia ed è un personaggio che gli autori avrebbero dovuto e potuto tratteggiare con maggiore attenzione. Tristan contro Lea, Tristan con Lea. Poteva mancare il discorso amoroso?

Ci basta una manciata di secondi, da quando lui è presentato dalla docente ai compagni a quando lei si volta verso il suo banco in fondo alla classe, per intuire che Tristan e Lea si innamoreranno (saranno entrambi sinceri?). Prevedibile anche l’attrazione tra Hagen e Zazie. Il simile richiama il simile. Rientra in un cliché anche il legame tra Rahim e la biondissima, teutonica ragazzina esterna al gruppo. Le questioni sentimentali si intrecciano al percorso rivoluzionario dei cinque e complicano lo script senza regalare complessità alla serie. Noi siamo l’Onda non si spende in indagini sul retroterra dei protagonisti. Gli altri personaggi, padri, madri, insegnanti, antagonisti vari sono figurine bidimensionali piantate tra i solchi della narrazione. Il razzismo classista verso Rahim è di maniera. Le sciagure personali dell’ispettore che si mette sulle tracce dell’Onda sono stereotipate e stereotipata è la sua reazione da vendicatore solitario.

La serie non sfrutta appieno il talento dei giovani attori, Ludwig Simon, Luise Belfort, Michelle Barthel, Daniel Friedl e Mohamed Issa. Peccato, perché le caratteristiche affibbiate loro, sebbene ricalcate su standard sociologici facilmente riconoscibili, costituivano un promettente punto d’avvio. Meglio sarebbe stato se la serie avesse lavorato di cesello sulle biografie, esplorando con maggiore coraggio le radici della rabbia. Il nichilismo di Zazie posto in continuità con le sofferenze “proletarie” del nonno, il progressismo dei genitori di Lea rivendicato a livello teorico e negato nella prassi quotidiana, il sottobosco anarco-insurrezionalista contiguo alla criminalità nel quale si muove Tristan: potenziali sviluppi narrativi abbozzati e poi, almeno in questa prima stagione (la seconda è già in cantiere), abbandonati a metà strada. D’altronde, le azioni dimostrative sembrano costruite apposta per finire sugli schermi degli smartphone e ottenere like. Noi siamo l’Onda, in sintesi, ammicca troppo al suo pubblico.

La serie indugia su modalità di protesta perfino simpatiche, come l’episodio delle locuste liberate ad un convegno di ultraricchi, una mascalzonata all’acqua di rose che scatena la repressione sproporzionata di un apparato poliziesco a dir poco caricaturale. In definitiva, tutte le azioni sono venate da un fastidioso moralismo puritano e disposte su una scala di intensità crescente, dall’ingenua mascalzonata al terrorismo passando per il teppismo, un parossismo congegnato per suscitare una moderata apprensione nello spettatore. Finanzieri, banchieri, speculatori, inquinatori sono assimilati al male, non ad un nemico (nell’accezione  schmittiana) contro il quale edificare una civiltà basata su principi di giustizia. L’elaborazione di qualsivoglia dottrina è assente, pensieri “forti” non ve ne sono, la parola “socialismo” non è mai pronunciata, il narcisismo digitale imbriglia ironia e fantasia.

Se la “nuova sinistra”, rappresentata da questi intraprendenti giovani, oscilla tra il velleitarismo, la litigiosità e il settarismo e si incarta, quindi, paradossalmente, nei soliti vizi, la “nuova destra” degli haters, odiatori di ebrei, migranti e presunti comunisti, gode, a quanto capiamo, di ottima salute… L’estremismo degli über Alles, ci ammoniscono gli autori, si sta infiltrando nei gangli delle istituzioni, protetto da alti papaveri. Una scena memorabile c’è, quando i cinque ribelli, al termine di un comizio, rapiscono il leader locale del partito sciovinista-sovranista per rinchiuderlo nella teca trasparente di un museo, vestito da gerarca nazista, esposto al pubblico ludibrio. Avanti così. Ci auguriamo che i futuri episodi portino il conflitto tra i due blocchi al punto di ebollizione. La rivoluzione giovanile, al momento, ha le polveri bagnate.

Titolo originale: Noi siamo l’Onda
Numero degli episodi: 6
Durata media ad episodio: tra 45 e 54 minuti a un’ora l’uno
Piattaforma: Netflix
Uscita episodi: 1 novembre 2019
Genere: Drama, Mistery, Young Adult

Consigliato a chi: è bravo ad aggregare persone attorno a un progetto, non ha paura di parlare in pubblico, partecipava alle occupazioni in nome degli ideali.

Sconsigliato a chi: non ha mai rubato un libro dalla biblioteca della scuola, si è infatuata di un leader e poi se ne è pentita, partecipava alle occupazioni per saltare le lezioni.

Ascolti, visioni e letture parallele:

  • La colonna sonora della serie è originale ed eclettica, va da J.S. Bach ai Moderat. La consigliamo a prescindere dalla visione!
  • Oltre al suggerimento, scontato, di rivedere L’Onda (2008), aggiungiamo il film Oltre la Notte di Fatih Akin (2017);
  • David Harvey, Città ribelli. I movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street (Il Saggiatore, 2013).
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