Dolor Y Gloria

Dolor Y Gloria ***

Il nuovo film di Pedro Almodovar, immancabile presenza del concorso del Festival di Cannes, è una riflessione malinconica e dolorosa che abbraccia tre momenti nella vita di un regista famoso, arrivato all’ultima parte della vita artistica senza sapere se avrà ancora la forza di dirigere e di mettersi in gioco.

Salvador Mallo è il protagonista di questa storia, interpretato da un Antonio Banderas simile ad Almodovar come una goccia d’acqua. Lo vediamo all’inzio sul fondo di una piscina. Una lunga cicatrice alla schiena. E’ un regista famoso, afflitto da infiniti problemi di salute, che gli rendono impossibile immaginare un nuovo film.

Lo ritroviamo poi bambino a Paterna, nella provincia spagnola, accanto ad una madre che ha il volto di Penelope Cruz. Vivono in una casa scavata nella roccia, un antro bianco e povero, dove l’unica ricchezza è data dai sogni e dalla cultura: i libri trovati per caso, le figurine dei divi nelle tavolette di cioccolato, il cinema improvvisato su una parete bianca.

In occasione del restauro di uno dei suoi primi film, Sabor, Salvador ritrova il suo protagonista, Alberto Crespo, con cui aveva litigato trent’anni prima. Alberto ha sempre fumato eroina, fin dai tempi del loro set e Salvador, disperato e depresso per i dolori, finisce per provarla, cercando un sollievo al dolore.

Immerso nei suoi ricordi, racchiusi in parte in un monologo teatrale, che Salvador cede ad Alberto, perchè lo porti sulla scena, improssivamente il regista incontra Federico, che aveva condiviso con lui il tempo felice e pericoloso della movida madrilena, negli anni successivi alla caduta del franchismo.

Federico era scappato a Buenos Aires, per sfuggire alla dipendenza di eroina, rifacendosi completamente una vita, con una moglie due figli.

L’emozione di questo incontro inaspettato sembra spingere Salvador ad affrontare la sua depressione e il suo dolore, per ricominciare ancora una volta a trasfigurare la vita sul set di un nuovo film.

Ventunesimo film del maestro manceco, Dolor Y Gloria è uno dei suoi lavori più controllati, malinconici, lineari.

Dimenticato il tempo del melò fiammeggiante, delle storie travolgenti e sopra le righe o quello del miracoloso equilibrio drammatico dei suoi anni migliori, a cavallo del nuovo secolo, Dolor Y Gloria è una confessione a cuore aperto, sincera e indifesa, come difficilmente ci saremmo attesi.

Se la prima parte, quella che ruota attorno agli incontri con l’attore Alberto Crespo, è la più debole e faticosa, il film invece trova la sua magia nei flashback del passato e nei momenti con la madre e con l’amante Federico, che occupano la seconda parte, di un lavoro che sembra quasi voler dialogare con la propria storia, con quello che si è stati e con quello che si è diventati. Un film di fantasmi si potrebbe dire, di sentimenti interrotti, incompiuti, che tornano a far visita al protagonista, spingendolo fuori da quella casa piena di opere d’arte, dentro cui si è rinchiuso.

Se Dolor Y Gloria nasce da suggestioni autobiografiche, è evidente che la figura di questo artista, ridotto all’inattività forzata, non può non richiamarne altri del passato, altrettanto impotenti nel constatare, alla fine della propria vita, la distanza sempre più grande che separa desideri e realtà, la voglia di raccontare e la forza necessaria per farlo.

Avvicinandosi ai 70 anni Almodovar sentiva forse di dover fare i conti con se stesso, con il suo lavoro, con i misteri dell’ispirazione artistica e con le difficoltà sempre più grandi, per farla vivere sullo schermo.

Il suo è un film dolente, che racconta un uomo sconfitto dalla vita, ma capace ancora di risorgere come una fenice dalla cenere dei propri ricordi.

Formidabile Antonio Banderas, che intepreta un personaggio dimesso, stanco, battuto, eppure ancora capace di risollevarsi. Leonardo Sbaraglia è Federico, il fantasma del passato, che in una sola scena, trasporta il film verso la gloria promessa dal titolo. Julieta Serrano e Penelope Cruz interpretano la madre di Salvador con brusca decisione, in due diversi momenti della vita.

Anche il ruolo della madre, che spesso ha fatto capolino nei suoi lavori, è qui piuttosto diverso: la madre di Salvador è una donna dura, che ha dovuto adattarsi ad una vita di fatica e che non vuole che il figlio parli di lei e dei suoi vicini nei suoi film. Lo rimprovera, lo sprona, alla fine gli lascia in eredità quell’uovo di legno, con il quale ha rammendato tanti calzini quand’era piccolo.

Ma anche lei, proprio alla fine, tornerà a farsi cinema, trasformando così le suggestioni di un passato intimo e personale, nella materia con cui fatti i sogni di tutti noi.

Fare un film è per me vivere scriveva Michelangelo Antonioni, raccogliendo i suoi scritti sulla settima arte: Almodovar sarebbe certamente d’accordo.

Da non perdere.

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