Attenzione ai numeri: c’era una volta Fahrenheit 9/11, ovvero la ricognizione di Michael Moore degli eventi che portarono ad una delle pagine più nere della storia americana, forse ancora più traumatica di Pearl Harbor.
Il titolo era ispirato al classico di fantascienza di Ray Bradbury e al film di Truffaut e metteva sotto accusa la presidenza di George W.Bush.
Nel 2004 il documentario incendiario vinceva la Palma d’Oro a Cannes: un anno prima Moore aveva vinto anche l’Oscar con Bowling a Columbine.
La sua carriera, cominciata a Flint nel Michigan, con l’epocale Roger & me, dedicato al mondo dell’auto, era al suo zenit. Fahrenheit 9/11 incassava 120 milioni solo negli USA.
Dopo sono arrivati Sicko, dedicato alla sanità americana, quindi Capitalism: A love Story sulla crisi finanziaria globale ed infine, dopo sei anni, l’ultimo Where to invade next, una ricognizione sulla civiltà europea a confronto con l’American Way of Life.
Con Fahrenheit 11/9 Moore ritorna a raccontare la politica, da Washington alla grande provincia americana. La data – il 9 novembre – fa riferimento alla notte in cui Donald Trump vinse le elezioni presidenziali del 2016.
Il film sarà a Toronto e poi uscirà il 21 settembre negli Stati Uniti.