Al di là dello sguardo: L’Universale

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Un luogo “etico” e “fantasmagorico”, immagine di una società che si è profondamente evoluta a cavallo degli anni ’70 e ’80 insieme alla cultura, alla musica, a sogni e speranze di più generazioni. L’Universale, la storica sala cinematografica di Firenze del quartiere di San Frediano, pur avendo chiuso i battenti nell’89, è ancora oggi ricordata per ciò che in quegli anni ha simboleggiato per i suoi più affezionati spettatori e per tante gente che vi gravitava intorno. Era infatti uno spazio di aggregazione, di confronto e anche di scontro, un luogo in cui si dice che il vero spettacolo non fosse il film, ma piuttosto il pubblico stesso che su quelle tipiche poltroncine di legno condivideva aneddoti, storie private e collettive che si trasformavano in leggenda.

Sulla scia di questo mito, il regista fiorentino Federico Micali – che sull’Universale di Via Pisana 43 aveva già girato il documentario Cinema Universale D’Essai (2008) – ha realizzato un film di finzione, riattualizzando l’idea originaria di attingere a tal “luogo di culto” della Firenze di un tempo e rimescolando per forza di cose molte delle carte già giocate in precedenza.

I protagonisti del film sono Tommaso (voce narrante), Alice e Marcello, tre inseparabili amici interpretati rispettivamente da Francesco Turbanti (classe ’88, di Grosseto) Robin Mugnaini (classe ’87, di Siena) e dalla ventiquattrenne italo-americana Matilda Lutz, affiancati da un colorito cast di attori toscani. Accompagnando il periodo d’oro dell’Universale, i destini dei tre giovani si intrecciano, allontanandosi e poi incontrandosi di nuovo, sullo sfondo di un’epoca in cui “il cinema” assume un significato simbolico dirompente di luogo in generale, a cui cui molti guardano con autentica nostalgia.

Lo spettatore è introdotto al racconto dallo stesso Tommaso (il figlio del proiezionista) che cresce parallelamente alle fasi alterne che questo cinema “istituzione” ha attraversato, e che nel film ha il ruolo di rispecchiare fin troppo marcatamente l’evoluzione della società italiana del periodo. Micali, memore del suo lavoro precedente, individua sì un soggetto ben definito, ma finisce per mettere troppa carne al fuoco, facendo risultare più stimolante (e utile) la parte docu (nozionistica, storica, ancora documentaristica se vogliamo), a discapito di quella fiction, della linea principale della trama e delle vicende del buon Tommaso, leading actor onnipresente, ma debole di polso nel riportare l’attenzione su di sé.

Ciò che doveva essere una cornice importante diventa l’attrattiva maggiore del film: la scoperta di come cambiano il pubblico e i gusti cinematografici da una generazione all’altra, tutto il fascino dei manifesti delle vecchie pellicole, gli spezzoni proiettati in sala. E ancora i titoli che passano in rassegna: quelli d’autore di Bertolucci, Godard, Truffaut e Bergman, i classici di Chaplin e Kurosawa; il cinema russo delle origini, il Neorealismo italiano, John Wayne e i film mitologici.

E come se il cinema non bastasse, il regista rincara la dose e si serve dei suoi protagonisti per parlare di altro ancora: le rivoluzioni politiche e culturali, il movimento musicale della new-wave, l’imporsi della televisione, la dipendenza da droghe, e non solo: troppi spunti solamente accennati.

In questa commedia dai toni drammatici si inserisce un coro di personaggi – macchiette un po’ sopra le righe, alcuni volutamente caricaturali, investiti della mission di esaltare la fiorentinità più schietta e verace (“patriottica”); aspetto che sarà più apprezzato dal pubblico fiorentino che da chi fiorentino invece non lo è. Sono loro le “star” dell’Universale, vere e di finzione, da cui sembra non si possa prescindere.

Le buone intenzioni di Federico Micali nel mettere in scena L’Universale, rigorosamente di produzione indipendente, sono confermate proprio dal prolungato periodo di gestazione. E se analizzando il dettaglio è palese la mancanza del non avere osato di più, con una sceneggiatura più profonda nella scelta dei contenuti da sviluppare, va urlato a gran voce il valore “universale” che ha il messaggio del film: mantenere vivo il ruolo del cinema in quanto prodotto culturale e ambiente da frequentare, amare e far proprio. Un ruolo imprescindibile, che lo spettatore post-moderno in particolare non deve mai dimenticare.

L’Universale, distribuito da L’Occhio e la Luna con il supporto de Lo Scrittorio, è al cinema dal 14 aprile.

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