Edge of Tomorrow

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Edge of Tomorrow **1/2

Tratto dal romanzo “All You Need is Kill” del giapponese Hiroshi Sakurazaka, che prende in prestito la stessa trovata drammaturgica di Ricomincio da capo e Source Code, Edge of Tomorrow avrebbe potuto essere un piccolo film di fantascienza distopica, a cavallo tra Pirandello e Bergson. Un’opera d’autore, spettacolare e malinconica.

Purtroppo la regia al grado zero di Doug Liman e alcune forzature divistiche in fase di sceneggiatura lo hanno ridimensionato ad un onesto intrattenimento popolare, che strizza l’occhio alle scatole cinesi di Nolan ed all’estetica del videogame.

In un prossimo futuro imprecisato, dopo un attacco alieno che ha colpito al cuore l’Europa continentale, le forze alleate cercano un modo di sconfiggere il nemico.

Una prima significativa vittoria, conquistata a Verdun, grazie al coraggio della soldatessa Rita Vrataski, spinge lo stato maggiore a progettare una campagna imponente e definitiva, per attaccare gli alieni sulle coste della Normandia.

Gli echi della Seconda Guerra Mondiale sono evidenti, amplificati dalla scelta di Liman di mettere in scena un nuovo Salvate il Soldato Ryan, sulle spiagge francesi.

Il capo ufficio stampa dell’esercito americano, il tenente William Cage, finisce inaspettatamente al fronte, dopo un diverbio con il Generale, che guida le forze armate alleate: degradato e additato come un disertore, sarà costretto a combattere una battaglia che non è la sua.

Codardo e impreparato, farà tutto il possibile per evitare il fronte. Invano.

Equipaggiato con un’armatura che assomiglia ad una moderna corazza, viene paracadutato nel cuore della battaglia senza alcun addestramento.

Morirà quasi subito, non prima di aver ucciso un alieno alfa che gli dona la facoltà di piegare il tempo al suo volere.

Tornerà così a rivivere più volte la stessa giornata, ricordandone l’esito, studiando il modo di prevedere gli attacchi nemici e di allearsi con la soldatessa Vrataski, per cercare di cambiare l’esito di una battaglia perduta sin dall’inizio.

Il film di Liman, scritto da Christopher McQuarrie e dai fratelli Butterworth è un altro meccanismo drammatico studiato per esaltare la fisicità del corpo-cinema di Tom Cruise.

Il soldato riservista, vigliacco e debole, diventa via via l’eroe d’azione disposto al sacrificio supremo per salvare i suoi simili.

Ancora una volta è la poetica spielberghiana dell’uomo comune che scopre dentro di sè qualità e volontà inaspettate, in situazioni eccezionali.

Cruise usa tutto il suo fascino sorridente per tratteggiare il volto di una simpatica canaglia, capace di trasformarsi nell’eroe di tutti i giorni. Al suo fianco Emily Blunt è perfetta per le ruvidezze del soldato Vrataski, peccato solo che la sceneggiatura lasci molto sottotono l’inevitabile love story tra i due predestinati.

Persino i mostri dall’aspetto tentacolare sono assai anonimi, forse utili per esaltare il debole 3D. Nessuna novità quindi neppure dal punto di vista spettacolare, se non per le indovinate scenografie, che usano una Londra spettrale ed una Parigi devastata, come sfondo nobile alle avventure del tenente Cage.

Il film, affidato a mani più sapienti, avrebbe potuto davvero essere un piccolo cult-movie, se solo non si fosse appiattito sulla meccanicità dell’intreccio e sull’iterazione delle battaglie, approfittando dei paradossi che la sceneggiatura gli poneva, con un personaggio invincibile e immortale, ma destinato alla solitudine di chi sa e non può che ricordare ogni volta una storia diversa.

Cruise, dopo Oblivion, si butta anima e corpo in un altro viaggio nella fantascienza, continuando a definire il suo personaggio dentro e fuori lo schermo, in un cortocircuito che a pochi è stato concesso.

Peccato che il film si adagi su uno schema videoludico fatto di livelli, vite e difficoltà che mortifica l’ispirazione iniziale.

Il finale consolatorio e ottimista non fa che acuire la sensazione di trovarsi di fronte ad un’occasione, in buona parte, sprecata.

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