A room with a view: Django Unchained

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L’entusiasmo di Peter Bradshaw nel recensire l’ultima fatica di Tarantino è palpabile: cinque stelle su cinque, chiosate da un commento che non lascia dubbi: I can’t wait to see it again.

Esercitarsi con un genere estremamente codificato quale il western significa, per un regista come Tarantino, giocare con le forme filmiche. Fin qui niente di nuovo, è dai tempi di Pulp Fiction che il buon Quentin ci ha cullati nella sua visione innovativa del linguaggio cinematografico.

Secondo Bradshaw, però, Django Unchained è molto di più e molto meglio di un semplice esercizio di stile: parte come omaggio al Western all’italiana di Corbucci (ma anche da Mandingo di Richard Fleischer) per evolversi in una storia piena di tensione e suspence, capace di dire qualcosa di intelligente e arguto sulla schiavitù negli Stati Uniti e sulla condizione attuale dei neri d’America – da sempre, un tema difficile per gli studios di Hollywood.

Ciliegina sulla torta, le prove di recitazione – specie quella di Samuel L. Jackson, attore feticcio di Tarantino dai tempi di Jackie Brown:

Just to make liberals everywhere uneasy, Tarantino and Jackson make Stephen the biggest, nastiest “Uncle Tom” ever: utterly loyal to his white master, and severe in his management of the below-stairs race in the Big House. He fixes everyone with a chillingly shrewd, malevolent stare made even more disquieting by an unsettling Parkinson’s disease tremor — an inspired touch.

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