Dopo i tre meravigliosi italiani del 1960, celebriamo i cinquant’anni di Nouvelle Vague con Fino all’ultimo respiro, il capolavoro di Jean-Luc Godard.
Presentato al Festival di Berlino, dove vinse il Leone d’Argento per la migliore regia, il film impose all’attenzione del mondo cinematografico un’intera generazione di nuovi cineasti, che crescevano sotto l’egida di Andrè Bazin, l’influente critico dei Cahiers du Cinéma, e di Henri Langlois, della Cinémathèque Française.
Registi, ma anche scrittori e critici, Truffaut, Godard, Rivette, Chabrol, Rohmer, assieme a Resnais, Varda, Demy, Malle, Lelouch, guardavano al neorealismo italiano ed al cinema classico americano, nel quale trovavano alimento per la politique des auteurs: la macchina industriale hollywoodiana, come quella francese, finiva per essere messa in discussione dall’atto di volontà dell’autore, capace di lasciare un segno personale anche in opere su commissione, così come avevano fatto Hitchcock, Hawks, Ray…
I giovani turchi, così venivano chiamati, si ribellavano al cinema francese degli anni’50, sulle orme dei già grandissimi Jean Pierre Melville e Robert Bresson e con la stella polare di una visione nuova e dirompente: l’uso del piano sequenza, del montaggio non lineare, della caméra stylo unite alle libertà sessuali e culturali degli anni ’60 hanno segnato un’intera generazione, anche al di là dell’oceano.
Questo mese allora Stanze di Cinema è dedicato a Jean-Luc Godard ed ai cinquant’anni di A bout de souffle, in attesa del suo nuovo film, Socialisme, forse a Cannes.