
The Hurt Locker **1/2
Il film, presentato in anteprima mondiale a Venezia lo scorso settembre, era stato accolto con grande favore dalla stampa italiana, anche quella più critica con l’intervento americano in Iraq.
Peccato che, nonostante le belle parole della Bigelow, durante la conferenza stampa veneziana – sul rifiuto della guerra e sulla necessità di tolleranza – il film mostrasse invece un protagonista, capace di riassumere su di sè tutti i più vieti pregiudizi razziali e militaristi.
Il modo con cui la regista stessa mette in scena gli Iracheni, l’impossibilità di ogni confronto umano e la minaccia sempre insita in ogni sguardo amichevole, contribuiscono a farne un’opera certamente interessante, ma che sembra aver metabolizzato – anche suo malgrado – la dottrina del presidente Bush e dei falchi repubblicani.
Il finale si incarica poi di suggellare il senso di un film contraddittorio, discutibile e muscolare, con la decisione dell’eroe folle e solitario di ritornare di nuovo sul campo, nell’impossibilità di sottrarsi alla droga della guerra.
Gianni Canova ha parlato di un film sulla pornografia della guerra: i soldati spinti a ripetere di continuo atti senza senso e senza scopo, per un’ideale distorto di libertà.
Certamente l’ambiguità del film consente questa interpretazione nobile e acuta, ma in questi casi sorge sempre il dubbio che il pubblico finisca semplicemente per identificarsi con l’adrenalinico ed invincibile protagonista, con le sue paure e i suoi pregiudizi, piuttosto che riflettere sugli effetti perversi del conflitto sull’animo umano: anche perchè la Bigelow non usa uno stile distaccato, ma si pone invece a fianco del suo eroe condividendone ogni passo.

Finalmente, dopo quasi un anno, il film esce anche negli Stati Uniti: nessuna delle opere, relative all’ultimo conflitto americano, ha sinora riscosso alcun successo di pubblico, nonostante vi siano stati almeno due esiti particolarmente felici (Redacted e Nella valle di Elah).
Le controversie politiche suscitate sinora da questi film ed un certo rigetto per l’elaborazione della guerra sembrano aver avuto la meglio su opere comunque interessanti e coraggiose.
La critica americana, che ha apprezzato moltissimo The Hurt Locker, sta cercando di sottrarre il film della Bigelow da un possibile disastro al box office, affermando che non si tratti di un’opera politica.
Saggiamente Jonathan Rosenbaum si incarica di smascherare questa inutile strategia commerciale, per puntare al cuore del film: la percezione distorta della realtà e la cecità degli americani nei confronti dell’Iraq.
I’m really tired of hearing from American reviewers that Kathryn Bigelow’s The Hurt Locker “isn’t political”…
First of all, the notion that any American film made today with an Iraqi setting could possibly be apolitical in any shape or form strikes me as being extremely naïve and myopic. Secondly, I can’t imagine what could make the notion of an apolitical film on this subject sound even remotely attractive. Are we really that helpless and hopeless? …
This is a film whose most courageous character is shown to be myopic to the point of insanity when it comes to perceiving Iraqi people in his midst — or at least one Iraqi kid in particular whom he supposedly knows and has some fondness for. He’s so convinced that this kid has been killed by a terrorist that he can’t even see the kid greeting him. This kind of blindness surely implies something about American perceptions of the Iraqi people, the ones whom American soldiers have allegedly been fighting for. It even, I would argue, implies something political.
Se l’avete perso in sala, potrete recuperarlo ora in DVD.

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