Sister

Sister ***

Secondo film della francese Ursula Meier, dopo il promettente debutto di Home, Sister ha conquistato l’Orso d’argento all’ultimo festival di Berlino e rappresenterà la Svizzera ai prossimi Premi Oscar.

L’enfant d’un haut, questo il più significativo titolo originale, è un film che sembra porsi nella scia del pedinamento, caro ai fratelli Dardenne, indagando su una strana coppia di fratelli, che abitano nelle case popolari di un paesino svizzero di montagna, meta di ricchi e facoltosi turisti nella stagione invernale.

In realtà Sister non si limita a seguire i suoi protagonisti, ma assume nella seconda parte una forza metaforica, che scardina il documentarismo della prima, per farsi ritratto generazionale, apologo che sfrutta i topoi della fabula per raccontare una solitudine senza uscita.

Il piccolo Simon tutte le mattine sale con la funivia sulle piste da sci e ruba compulsivamente tutto quello che trova: sci, maschere, occhiali, caschi, zaini pieni di panini.

Nei bagni del rifugio scegli cosa tenere e cosa buttare via, nascondendo la refurtiva in una serie di nascondigli, prima di portarla a valle, per venderla per pochi franchi ai suoi amici o ai lavoratori stagionali ed ai turisti in arrivo.

Simon ha una sorella più grande, che pare non riuscire a badare a se stessa. Senza lavoro, assillata da fidanzati improbabili, dipende in tutto e per tutto da fratello, che le porta da mangiare e le dà i soldi per le sue necessità.

Condividono un piccolo appartamento alle Torri, grandi condomini popolari, che si ergono nel panorama desolato della valle, su cui incombe la bellezza delle cime innevate.

Simon, nascosto dal suo passamontagna, sembra passare inosservato, mentre sottrae compulsivamente tutto ciò che riesce. Ma quello che ricava dai furti gli basta appena. Quando viene scoperto da un aiuto cuoco del rifugio, finisce per trovare inaspettatamente un alleato: anche il giovane raccoglie sci rubati, per rivenderli in Inghilterra al suo ritorno a casa.

Nelle sue mattinate da invisibile, Simon incontra anche una madre inglese, con due figli, alla quale sembra affezionarsi.

Nel frattempo la sorella scompare per qualche giorno.

Il film della Meier è un pugno allo stomaco ben assestato: nella continua alternanza di piani, tra l’alto ed il basso, che corrisponde ad una distinzione anche di ceto e di possibilità, la regista non vuole solo rendere evidente l’infelicità di una comunità, costretta a vivere sulle ricchezze altrui, ma raccontare un mondo nel quale i rapporti sono mediati sempre e solo dal denaro.

Ed in cui il furto bulimico della “roba” è il solo modo per sentirsi parte di un mondo diverso.

Gli affetti, la solidarità, la compassione non hanno più cittadinanza. Meno che mai l’amicizia ed i rapporti di sangue: tutto ha un prezzo e Simon è disposto a pagarlo, pur di ricostruire una parvenza di famiglia.

Non vi sveleremo il colpo di scena che spezza a metà il film e che cambia radicalmente il punto di vista sui suoi personaggi, ma da quel momento in avanti lo schematismo che aveva caratterizzato la prima parte di Sister, finisce per dissolversi.

Il confine tra la spensierata serenità dei campi da sci e la dura realtà della valle sempre in ombra, diventa il modo per raccontare una Svizzera crudele, sporca, desolata, lontana dall’immagine linda e asettica a cui siamo abituati.

Simon e la sorella Louise sono due animali feriti, che brancolano senza meta in un mondo cupo come una foresta.  Sono due perdenti che non riescono nemmeno a volersi bene, si sopportano a malapena e si sfruttano a vicenda.

Straordinario il piccolo protagonista,  Kacey Mottet Klein, ed altrettanto coraggiosa Léa Seydoux, lontanissima dalla sua immagine di modella e dai ruoli di Midnight in Paris e Mission:Impossible Protocollo fantasma.

La Meier ha talento, idee chiare ed un’ossessione per la linearità – di strade, funivie, cavi dell’alta tensione – in un mondo che sembra invece avvitarsi su se stesso.

Da non perdere.

3 pensieri riguardo “Sister”

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