Dark Shadows

Dark Shadows **1/2

Toccato il punto più basso di una lunga e gloriosa filmografia, con Alice in Wonderland e la sua “deliranza”, Tim Burton non poteva far altro che risalire la china, tornando alle sue ossessioni ed alle sue passioni di sempre.

E allora puntualissimi ricompaiono i freaks, lo scontro tra mondi che non si comprendono, l’amore tormentato, i padri assenti ed il grottesco degli anni ’70, a fare da sfondo ad una nuova storia con Johnny Depp assoluto protagonista, ancora una volta, truccatissimo alter ego del regista di Burbank.

In questo Dark Shadows, tratto da una lunghissima serie tv della ABC, che ha abbracciato gli anni ’60 ed i ’70, ci sono tutti gli elementi tipici del suo cinema fantastico, ma non c’è davvero nulla di nuovo: il rischio di tornare su percorsi già tracciati, contagia anche Burton, con il sospetto di un manierismo ad uso dei fans, delusi dalle ultime scelte mainstream, a partire dal remake di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato.

Il remake del suo corto d’esordio, Frankenweenie, che uscirà a breve per la Disney, è solo l’ultimo indizio di un ripiegamento verso il passato, che manifesta una preoccupante carenza di nuove idee.

Peccato perchè questo Dark Shadows aveva tutti gli elementi di un progetto sentito e personale. Ma sia Burton, sia Depp sembrano come imbalsamati nel loro passato.

Il protagonista di Dark Shadows è Barnabas Collins, il figlio di un ricco imprenditore ittico di Liverpool che, trasferitosi nel Maine in cerca di fortuna, vi aveva eretto una piccola città, grazie al successo della sua attività.

Siamo nelle seconda metà del XVIII secolo: dopo aver costruito un enorme maniero di famiglia, Collinwood, il padre di Barnabas non riuscirà a goderne la bellezza.

Angelique, una giovane inserviente  innamoratissima di Barnabas, dopo essere stata respinta, si vendica su di lui e sulla famiglia Collins grazie alle sue prodigiose doti di strega: uccide i genitori, costringe la rivale Josette a buttarsi da un’altissima scogliera, trovando la morte, proprio sotto gli occhi di Barnabas, che viene trasformato in un vampiro immortale e richiuso in una cassa, sotterrata nel bosco, per quasi due secoli.

I lavori per la realizzazioni di un nuovo McDonald accidentalmente liberano Barnabas nel 1972: il mondo è davvero cambiato, i Collins sono guidati dalla severa Elizabeth, ma l’industria è in rovina e Collinwood è solo l’emblema decadente di una grandezza che non c’è più.

Sotto il suo tetto vivono ancora Roger Collins, fratello di Elizabeth, con il figlio David, che tutti considerano fuori di testa, quindi la hippy Carolyn, una psichiatra alcolizzata, Julia Hoffman, ed un paio di inservienti, incapaci di badare all’enorme castello.

Quando Barnabas si presenta al cancello, decide di restituire al suo passato splendore la famiglia Collins.

Si accorgerà ben presto che il suo avversario, nella vita come negli affari, è ancora lo stesso, la perfida Angelique, diventata un’amatissima imprenditrice.

Il trailer di Dark Shadows era stato efficacissimo nel promettere una commedia divertente e surreale, capace di esaltare il gusto camp e libertino degli anni ’70, a contrasto con i modi affettati di un protagonista, proveniente da un mondo lontanissimo e formale.

In realtà il film di Burton è molto più oscuro, condividendo le tenebre ed il sangue, necessari a Barnabas, per continuare a vivere.

Tuttavia, mentre la prima parte è misurata ed efficace nel presentarci gli antefatti ed il ritorno alla vita del protagonista, la seconda è più scontata e prevedibile, rimanendo nei canoni della vendetta spettacolare: i personaggi non assumono mai la grandezza tragica che meriterebbero. Persino la bellissima e perfida Angelique, ossessionata dall’amore per Barnabas e dall’idea di riconquista, viene travolta da un finale in cui l’effetto ha la meglio sulla coerenza narrativa.

Johnny Depp è Barnabas, come sempre capace di mantenere imperturbabile ed eccentrica misura in un mondo da cui si sente estraneo, ma anche lui paurosamente incline a rifare se stesso ad libitum. Se Eastwood aveva per Leone due sole espressioni, col cappello e senza, Depp sembra aver ridotto la sua maschera espressiva a due tipi: il guascone eccentrico e dissoluto ed il timido eccentrico, coperto di make up.

Eva Green è invece la vera rivelazione del film: un’Angelique sensuale ed ossessiva, meravigliosamente cattiva, per il solo desiderio di essere amata. Alle prese finalmente con un personaggio più scritto, sembra dimostrare che oltre alla bellezza indecente, che convinse Bernardo Bertolucci a lanciarla in The Dreamers, c’è anche un’attrice.

Si distinguono Michelle Pfeiffer, nei panni di Elizabeth Collins, che cerca di nascondere la sua fragilità e quella di una famiglia allo sbando ed Helena Bonham Carter, personaggio burtoniano per eccellenza, nel ruolo della Dottoressa Hoffman, alcolizzata ed ossessionata dalla perduta gioventù, che dalla medicina sembra aver appreso solo le tecniche più discutibili.

Prezioso, come sempre, il lavoro dei comprimari, Chloe Grace Moretz, Jackie Earle Haley, Bella Heathcote, ma la sceneggiatura di Graham Seth Green non gli lascia molto spazio su cui lavorare, facendone figurine bidimensionali.

Bruno Delbonnel passa sapientemente dalle luci sperimentali di Faust a quelle magnifiche di Dark Shadows, ma non è nella sapienza dei contributi tecnici, che il film può trovare il suo riscatto.

Burton si appoggia facilmente su una colonna sonora di sole hit, dai Moody Blues ad Alice Cooper, da Superfly a Elton John, fino all’immancabile Barry White, dal fortissimo impatto evocativo, ma anche piuttosto abusate, quasi che la sola forza delle sue immagini non fosse (più) capace di ricreare un mondo.

Siamo di fronte, chiaramente, ad un’impasse creativa, spesso accompagnata da grandi incassi, che finiscono così per perpetuarla, in un equivoco in cui anche Scorsese ed i fratelli Coen – pur per un brevissimo periodo – sono finiti per cadere nell’ultimo decennio.

Dopo anni di anticonformismo e piccole produzioni sfortunate, in cui però la libertà espressiva ha creato le condizioni per un successo di culto, l’abbraccio mortale con i budget ed i condizionamenti da blockbuster ha inaridito la fantasia e la voglia di rischiare, costringendo Burton a rifare se stesso all’infinito.

Speriamo presto di essere smentiti…

3 pensieri riguardo “Dark Shadows”

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