Londra si appresta ad eleggere il nuovo sindaco e la sfida tra il nazionalista Dennis Gimball (Christopher Villiers) e l’inclusivo Zafar Jaffrey (Nick Mohamed) si surriscalda a seguito di un atto terroristico in cui vengono uccise undici persone, tra cui un attivista membro del partito di Jaffrey. L’indagine condotta dall’MI5 e coordinata dall’algida Diana Taverner (Kristin Scott Thomas) finisce per intrecciarsi con quella che coinvolge Roddy Ho (Christopher Chung), un agente della disfunzionale squadra di agenti con a capo Jackson Lamb (Gary Oldman), il cui soprannome, Slow Horses (lett. Ronzini) è esplicativo del rispetto di cui godono all’interno dell’organizzazione. Pare che qualcuno voglia uccidere Roddy anche se, almeno inizialmente, l’unica a capirlo è Shirley (Aimee-Ffion Edwards), ai cui avvertimenti nessuno presta attenzione, reputandola ancora troppo scossa per la morte del collega Marcus. Entrambe le azioni criminali fanno parte di una strategia della tensione basate su un’escalation destabilizzante che i servizi segreti britannici ben conoscono e che hanno direttamente applicato in molti Paesi.
Rispetto al passato la reazione della squadra di Lamb è ancora più ritardata e parcellizzata, dato che oltre alla morte di Marcus il gruppo si trova a gestire diversi traumi: Louisa (Rosalind Eleazar) ha chiesto e ottenuto qualche mese di congedo, ma di fatto sembra intenzionata a cambiare radicalmente vita e a non tornare nell’organizzazione, Shirley soffre di un forte DPTS, River Cartwright (Jack Lowden) convive con il senso di colpa per aver lasciato il nonno in una casa di cura per anziani e di una crisi di identità per aver scoperto che il padre era una spia doppiogiochista. Ripiegati su se stessi e sempre più lontani da qualunque spirito di squadra, i Ronzini ci appaiono ancora più impacciati e confusionari del solito. Così, quando accorrono per difendere Gimball da una presunta aggressione, finiscono per ucciderlo, complicando ulteriormente una situazione già esplosiva. C’è di buono che non possono rovinare le proprie carriere, perché sotto il Pantano (la loro sede distaccata) non c’è davvero nulla.
In questa quinta stagione la squadra di Lamb, disfunzionale e problematica come non mai, è impegnata soprattutto ad elaborare i propri traumi. Assistiamo quindi ad una narrazione tutta rivolta al presente, senza fughe nel passato o recherche emotivamente significative. Ciascuno pensa soprattutto a sé stesso, perso nei propri sensi di colpa o impegnato a crogiolarsi nel disagio che nasce da un’insoddisfazione professionale che lo avvolge come il cinismo e la retorica avvolgono Londra. Lo sfondo delle elezioni comunali permette alla narrazione di raccontare in modo diretto ed impietoso la nostra realtà sociale e politica. Le elezioni londinesi sono l’occasione per assistere alla contrapposizione di quelle che sono le brutte copie delle posizioni politiche cha hanno infiammato il secolo scorso. Al posto della sinistra novecentesca si trova una forma di populismo buonista che ha il sapore della tolleranza esasperata ed esasperante, basato, più che su valori, sull’assenza di asperità dialettiche; al posto della destra si trova invece un nazionalismo parimenti ipocrita e di facciata, incapace di sintesi e proprio per questo espressamente disinteressato a cercare una forma di identità contemporanea condivisa. I due candidati sindaci esprimono al meglio la pochezza e il degrado della politica nei nostri tempi e i loro comizi sono entrambi altrettanto disgustosi, sebbene in modo diverso. In questo contesto pubblico e sociale ai cittadini non rimane che dedicarsi ai propri interessi o ai propri problemi, come nel caso dei Ronzini.
Sebbene la tonalità narrativa sia ricca di humor e di situazioni al limite del surreale, il racconto del dibattito politico contemporaneo è quanto mai disarmante ed attuale, per quanto il libro da cui è stata tratta questa stagione, London Rules, sia stato scritto nel 2018. Viene da chiedersi se il ripiegarsi degli individui in se stessi sia la conseguenza o la causa di questa situazione in cui naturalmente trovano terreno fertile estremismi e atti terroristici di varia natura.
La scelta di puntare sullo sfondo sociale naturalmente ha qualche conseguenza sul ritmo che appare meno vivace del passato, almeno per i primi 5 episodi perché poi il sesto, come da tradizione, accelera e trascina lo spettatore in un vero e proprio vortice di accadimenti. Il cast si trova a proprio agio con queste diverse sfumature caratteriali dei loro personaggi, mentre le nuove entrate, in particolare i due candidati sindaci, interpretati da Nick Mohammed (già in Ted Lasso) e da Christopher Villiers (The Crown) si sono integrati perfettamente all’interno di un meccanismo di grande qualità. Ancora una volta Gary Oldman ci regala un Lamb repellente e poliedrico, capace di alternare grandi intuizioni e slanci di umanità a comportamenti cinici e asociali. La stagione rende omaggio soprattutto al personaggio di Shirley e a quello di Ho, entrambi, anche se per motivi diversi, al centro della narrazione.
La visione è altamente consigliata. Alla quinta stagione, pur con una paletta emotiva e tematica diversa dalle precedenti, la serie continua ad essere uno dei prodotti migliori presenti sul mercato per la grande capacità di coniugare qualità, spessore e visibilità. E non è un caso che Apple Tv l’abbia già rinnovata per altre due stagioni.
TITOLO ORIGINALE: Slow Horses
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 45 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 6
DISTRIBUZIONE STREAMING: Apple TV +
GENERE: Drama Spy Dark Comedy
CONSIGLIATO: imperdibile per quanti amano le serie che uniscono humor nero e azione, con protagonisti “politicamente scorretti”.
SCONSIGLIATO: inadatto a quanti cercano un racconto di spie classico, alla James Bond per intenderci.
VISIONI PARALLELE: i romanzi da cui è stata tratta la serie, scritti da Mike Herron
UN’IMMAGINE: più che un’immagine, la forza della parola. I dialoghi sono infatti non solo brillanti, ma soprattutto sono in grado di rivelare gli strati profondi delle personalità dei protagonisti e, in alcuni casi, dell’umanità in senso lato. Sono il vero valore della serie che è stata spesso celebrata per la qualità dei suoi attori, ma va detto che le ottime interpretazioni attoriali a cui abbiamo assistito in questi cinque anni poggiano su testi capaci di andare oltre la patina di banalità che troppo spesso ricopre il nostro scambio verbale quotidiano.

