Venezia 2025. Silent Friend

Silent Friend ***1/2

Il nuovo film dell’ungherese Ildikó Enyedi è certamente uno dei più originali e inconsueti del concorso di Venezia 82, mescolando tre diverse storie che si svolgono all’interno di un’ antica università tedesca, nel corso dell’ultimo secolo.

Se Corpo e anima conteneva una suggestiva metafora animale, questa volta è un maestoso e imponente ginkgo biloba femmina a sorvegliare le vite dei protagonisti, testimone silenzioso fin dal 1832 del respiro della Terra.

Enyedi ha la sensibilità emotiva per costruire un racconto in cui le vite degli uomini dialogano con la natura in un viaggio di scoperta e conoscenza che lascia spesso senza parole.

La prima storia è ambientata nel 2020, quando un professore di neuroscienze dell’età infantile dell’università di Hong Kong rimane bloccato all’interno della facoltà tedesca dallo scoppio della pandemia. Decide così di utilizzare i suoi trasmettitori sull’enorme albero che campeggia all’interno del campus, suscitando le invidie e le diffidenze del silenzioso custode, che parla solo tedesco.

Una collega biologa francese, scoperta grazie ad un intervento su YouTube, gli suggerisce come cercare connessioni utili per la sua nuova ricerca empirica.

Nel 1908 la prima preparatissima studentessa ammessa in università, tra pregiudizi e vessazioni, scopre nella fotografia un’arma nuova per lo studio delle piante.

Infine nel 1972 una studentessa conduce un esperimento su un geranio. Quando parte per le vacanze, lasciando la pianta al suo co-inquilino, quest’ultimo implementerà lo studio creando nuove imprevedibili connessioni.

Il film di Enyedi ruota interamente attorno al respiro profondo della Terra, che il sontuoso ginkgo biloba rappresenta, non solo attraverso le rappresentazioni grafiche dei sensori del professor Wong, ma anche attraverso i colori, il vento, le radici e infine con la sua impollinazione.

Lo vediamo sempre partecipe del destino dei personaggi, sovente a fuoco mentre gli affanni degli uomini restano sullo sfondo, ma solo alla fine lo vedremo in tutta la sua imponenza, in un magnifico giallo autunnale.

L’amico silenzioso è testimone dei destini, dei dolori, degli studi, delle promesse dei personaggi di questa storia, che forse ha il limite di non chiudere fino in fondo le sue linee narrative, nonostante la durata fluviale e il ritmo compassato del racconto.

In qualche modo Enyedi si pone sulle stesse orme che Zemeckis, Soderbergh e Trier hanno segnato in questa stagione con Here, Presence e Sentimental Value, utilizzando lo spazio dell’abitazione familiare come elemento permanente di storie diverse che si accumulano nel corso del tempo. Questa volta non è la dimensione domestica a fungere da personaggio invisibile, ma un elemento naturale, preesistente al destino di tutti i protagonisti, secondo una concezione della vita che abbraccia significativamente il mondo vegetale e quello animale.

La fotografia alterna pellicola e digitale, colore e bianco e nero, grazie al lavoro sontuoso di Gergely Pálos.

Silent Friend è un film misterioso, ellittico, che sfugge ad una comprensione piena, ma che lascia emergere suggestioni inedite, riflessioni che fanno appello alla capacità di percepire il mondo fuori dai confini rigidi imposti dalla nostra nazionalità.

Per un film che mostra una fiducia ottimista nella scienza, nella ricerca, nel lavoro pionieristico e temerario di studiosi e ricercatori, è un risultato rimarchevole.

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