Father Mother Sister Brother ***
Sono passati oltre sei anni da quando I morti non muoiono aveva aperto il Festival di Cannes con uno dei lavori meno ispirati e compiuti del regista di Akron. Il ritorno di Jim Jarmusch con Father Mother Sister Brother, in concorso alla Mostra di Venezia, è invece particolarmente felice, grazie a tre racconti familiari in cui si ritrovano tutta l’ironia, le malinconie, lo spirito giocoso e il senso della vita del regista di Stranger Than Paradise, Paterson e Ghost Dog.
Nel primo episodio – Father – Tom Waits interpreta un padre vedovo, che attende l’arrivo dei due figli adulti per una visita di cortesia, dopo la morte della moglie. Mentre i suoi ragazzi Emily e Jeff, in auto, si raccontano di averlo aiutato anche economicamente per affrontare le difficoltà di gestire da solo i suoi piccoli affari quotidiani, il padre si fa trovare in una casa disordinata e dimessa, immersa nei boschi in mezzo al nulla del New Jersey, in una sorta di nowheresville, con un pick-up che sembra non essersi mosso da anni: ai figli offre acqua e tè, con un servizio spaiato e su un vassoio da bar, ascoltando senza interesse le loro chiacchiere, impaziente di liquidarli. In realtà l’anziano genitore nasconde risorse inaspettate…
Nel secondo episodio – Mother – una scrittrice irlandese di romanzi rosa di grande successo, attende per un té degno di Fortnum & Mason, le due figlie: la spiantata Lilith, che si presenta coi capelli rosa e la rigidissima impiegata Tim, che si presenta con una gonna grigia lunga alle caviglie, calzettoni e scarpe da uomo. Anche in questo caso le chiacchiere formali nascondo un evidente imbarazzo.
Nel terzo episodio ambientato a Parigi – Sister Brother – due gemelli devono affrontare la morte improvvisa dei genitori, impegnati in strani traffici e vittima di un incidente in volo. William ha svuotato la casa di famiglia e ha raccolto tutte le cose in un magazzino: alla sorella Boobie consegna delle vecchie foto, i documenti falsi dei genitori.
Il film di Jarmusch è come un libro di racconti di cui volentieri leggeremmo nuovi capitoli: il filo rosso che li lega è un rapporto tra genitori e figli che si nutre di bugie, misteri, vite parallele, interessi nascosti dietro un sussiego del tutto fasullo.
Se la svolta del primo episodio è il segno più evidente di un’estraneità coltivata nel tempo, anche gli altri lasciano trasparire il peso del non detto in contesti familiari completamente disfunzionali in cui ciò che (non) conta è un simulacro affettivo.
Le apparenze sono in qualche modo mantenute, ma in realtà la vita dei personaggi del film ribolle di passioni e desideri altri, di cui genitori e figli rimangono ignari.
Jarmusch con il solito stile minimo, fatto di camera fissa, piani sequenza e regia invisibile, che si concentra sulla direzione degli attori più che sulla messa in scena, e costruisce una ronde familiare inconsueta, ellittica, che sembra raccontarci quanto la vita rimanga incomprensibile e misteriosa anche all’interno del contesto familiare.
Il film è leggero, pensoso, sorprendente, impastato con il sorriso, l’imbarazzo e la complicità che rendono degna l’esistenza. Su tutti restano impressi il padre dissimulatore di Tom Waits e il terzetto del secondo episodio con una glaciale Charlotte Rampling che domina senza fatica una dimessa Cate Blanchett e un’estrosa ed eterea Vicky Krieps.
Vitale e commovente.

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