F1

F1 ***

L’americano Sonny Hayes è una promessa della formula uno dei primi anni ’90. Corre su una Lotus gialla assieme all’amico e compagno Ruben Cervantes.

Un pauroso incidente in pista, nel tentativo di sorpassare la McLaren di Senna, interrompe la sua carriera e fa deragliare la sua vita, tra scommesse, eccessi e arroganza.

Lo ritroviamo oltre trent’anni dopo alla 24 ore di Daytona, nello stint notturno, recuperare posizioni fino a consentire al suo team di vincere.

Di coppe e orologi di lusso però Sonny non sa che farsene. Riprende il van che sembra la sua unica casa e riparte per la Baja California dove l’attende una nuova gara sulla sabbia.

Solo che Ruben, il suo antico compagno di squadra, ha ancora bisogno di lui. Alla guida di una scuderia che non ha ancora fatto un punto nel mondiale di F1, la APX, Ruben si ritrova senza uno dei due piloti, allettato da altre offerte, con una macchina disastrosa, una giovane promessa – Joshua – che pensa più a sorridere per social e giornalisti che a guidare e con la minaccia imminente che a fine stagione il suo board lo sollevi dall’incarico.

Altri sette piloti hanno provato la APX e hanno rinunciato a guidarla. Sonny accetta l’invito per quello spirito guascone e spericolato che è diventato il suo unico credo: correre per correre, un giorno alla volta.

Nelle prove si schianta vicino al traguardo, ma è vicino ai tempi di Joshua.

Mancano solo nove gare alla fine del mondiale, ma grazie al lavoro in galleria del vento dell’ingegnere Kate, la prima donna direttore tecnico in F1, e alle strategie spericolate di Sonny in pista, la APX risale la china un gran premio alla volta.

Il film di Joseph Kosinski sembra formare con il precedente Top Gun: Maverick, un dittico formidabile e speculare, che nell’iperrealismo della performance costruisce la sua dimensione più astratta e spettacolare e nella ripetizione di archetipi narrativi classici dà spazio ad una dimensione emozionale che si sposa perfettamente alla prima.

Nell’incipit rutilante, presente e passato si fondono perfettamente sulle note di Whole Lotta Love dei Led Zeppelin: il montaggio fonde le auto che sfrecciano in pista con il senso del destino del suo protagonista che si gioca la vita e la morte ogni sera quasi senza pensarci. La tensione sale con l’adrenalina dei sorpassi, mentre la coolness di Brad Pitt è quella di chi sa che ce la farà sempre, perché alla vita non ha più nulla da chiedere.

Il film è forse già tutto in questo prologo perfetto per gestione dei tempi, costruzione drammatica ed efficacia narrativa. Ma poi il film mantiene quello che promette, restando elettrico senza mai un momento di vera quiete, secondo quella formula che Jerry Bruckheimer, il suo produttore, ha promosso sin dagli anni ’80 nei suoi blockbuster e che col tempo sembrava essere andata perduta.

Esattamente come accadeva con i caccia militari di Maverick, anche questa volta i protagonisti  sono chiusi nel loro abitacolo alla guida di mezzi che sfidano le possibilità umane, solo che il nemico corre sulla stessa pista con loro e spesso è proprio il tuo compagno di scuderia. 

Kosinski – che ha avuto accesso al vero circus della F1 – si esalta nell’imprimere alla retorica televisiva del gran premio una forza acceleratrice impetuosa che il montaggio impeccabile del premio Oscar Stephen Mirrione esalta fino al parossismo, creando una punteggiatura visiva che lascia senza fiato e che tuttavia non dimentica il lato umano della performance del pilota e della sua squadra.

Liberty Media che organizza il mondiale ha partecipato alla realizzazione, concedendo i suoi spazi, i suoi personaggi, le sue autovetture, in un prodotto che è certamente un altro grande spazio promozionale per uno sport in grande ascesa soprattutto negli USA e nei Paesi emergenti del Medio Oriente e del Sud Est asiatico.

Sullo schermo la Formula Uno ne esce certamente come uno sport complesso, fatto non solo romanticamente di coraggio, rischio e abilità personali, ma di un grande lavoro di squadra, in cui gli ingegneri e i meccanici contano come i piloti, in cui le strategie e le tattiche sono fondamentali: la gestione delle gomme, i pit stop, le safety car valgono quanto i sorpassi in pista.

Anche il product placement e la presenza dei veri protagonisti del mondiale sono gestiti da Kosinski con misura ed eleganza e nelle due ore e mezza del film sembrano quasi marginali.

La fotografia più calda negli interni romantici, luminosa nel box bianco della scuderia e realistica sulla pista è di Claudio Miranda (Vita di Pi, Benjamin Button) che ha collaborato a tutti i film di Kosinski, la colonna sonora è di Hans Zimmer, che può scatenarsi nel suo solito incalzare tonitruante, perfetto contraltare al rombo dei motori. Tuttavia l’incipit e molti momenti più significativi del film si appoggiano a classici del rock, da Whole Lotta Love dei Led Zeppelin ai Queen di We Will Rock You.

Se F1 corre impetuoso quando è sulla pista, sfidando la plausibilità delle strategie e la noia di tanti gran premi in cui i sorpassi latitano e le emozioni restano mute, quando i protagonisti scendono dalle loro auto, il film assomiglia al più classico dei western, con il cavaliere solitario che viene in soccorso della piccola comunità assediata, si confronta con l’arroganza incosciente dei più giovani, seduce la bella vedova e una volta sconfitti i nemici esterni ed interni, se ne va verso il tramonto, solo che non ci sono cavalli ma vecchi van e Dune Buggy che sfidano la sabbia.

Lo scheletro narrativo che Ehren Kruger (Arlington Road, The Ring, molti Transformers, Dumbo, Top Gun: Maverick) ha ideato con Kosinski è un concentrato di archetipi classici, da manuale di scrittura, che pure funzionano ancora alla perfezione soprattutto grazie ad un cast che sembra crederci sino in fondo.

Brad Pitt si lascia scorrere il film addosso con la consueta autoironia, centrando pienamente un personaggio che sta a metà tra il Redford crepuscolare degli anni ’70 e il McQueen fatalista e sempre in fuga, a cui capita – come nel più classico degli american dream – una seconda possibilità.

La locandina è tutta sua, nonostante F1 sia un film corale e il motivo è presto evidente: tutti gli altri personaggi esistono solo nella relazione con il suo Sonny.  A cominciare dal Ruben di Javier Bardem, capace sullo schermo di rinverdire i fasti di una bromance che sembra durare da tutta una vita.

Mentre Tobias Menzies è il laido e infido consigliere d’amministrazione e Damson Idris è la giovane promessa irruenta e vendicativa, che di scontro in scontro riuscirà alla fine a capire il valore dell’esperienza, Kerry Condon è il perfetto contraltare romantico di Pitt, giustamente aggiornato alle sensibilità odierne. La sua scelta assomiglia a quella di Jennifer Connelly in Maverick:  un’attrice autentica, matura, dal fisico minuto, lontana da ogni immaginario esclusivamente sessualizzato.

In un film che è l’ennesimo racconto del riscatto e della redenzione di un outsider, non c’è nulla che non abbiamo già visto centinaia di volte sullo schermo, ma la forza del cinema americano classico è proprio nella sua capacità di aggiornare continuamente lo stesso immaginario, perfezionando una formula che – come nelle fiabe – ci illudiamo possa funzionare per sempre.

Abbandonatevi all’emozione e godetevi lo spettacolo.

Da non perdere. In sala dal 25 giugno.

E tu, cosa ne pensi?

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.