Scomode verità

Scomode verità ***

Per raccontare il nuovo film di Mike Leigh che Lucky Red distribuisce finalmente quasi un anno dopo la sua prima al Festival di Toronto a settembre 2024, bisognerebbe forse partire dal titolo, Hard Truths, in italiano Scomode verità.

Come spesso accade nel cinema del regista inglese, il titolo è una promessa semplice ed essenziale, destinata a (non) avverarsi: Belle speranze, Dolce è la vita, Segreti e bugie, Naked, Career Girls.

Anche questa volta accade la stessa cosa: il film è certamente scomodo, urticante, ma le sue verità rimangono nascoste, figlie di una realtà familiare compromessa e impossibile.

Dopo il dittico d’epoca Turner e Peterloo, Leigh torna ad immaginare un viaggio sentimentale all’interno della piccola borghesia, che scardina convenzioni e sicurezze, lasciandoci attoniti ed esausti, come Pansy e Curtley, marito e moglie, estranei nella propria casa, in una mattina qualunque quando ciascuno ha più bisogno dell’altro.

Pansy è una casalinga sempre sul piede di guerra. Il film comincia con un urlo al suo risveglio e poi l’accompagna in lunghe giornate passate a pulire compulsivamente la sua casa-fortezza, insultando e minacciando brutalmente il marito Curtley, che ha una piccola impresa edile e il corpulento figlio Moses, ormai adulto, che passa le sue giornate con le cuffie sempre in testa, forse per non dover sentire i continui rimproveri di cui è oggetto, da parte dell’insopportabile madre.

Ma Pansy è ancor più ingestibile quando si avventura fuori di casa, in un negozio per scegliere un nuovo divano o in uno studio medico o dal dentista: aggressiva, misogina, manipolatrice, affetta da fobie incomprensibili, incontrarla vuol dire passare un pessimo quarto d’ora.

E’ evidentemente una donna profondamente depressa, delusa dalla vita, incapace di relazionarsi in modo civile con gli altri, respingente e umorale in modo patologico.

Solo che nessuno sembra avere la forza di dirglielo o di capirla, tranne la sorella Chantelle, una parrucchiera che ha cresciuto da sola due figlie e che sembra avere un altro carattere e un’altra umanità rispetto a Pansy.

Passano tutti assieme la festa della mamma, portando dei fiori sulla tomba della loro genitrice, ma è proprio in quella occasione che la crisi tra Pansy, Moses e Curtley esplode in tutta la sua evidenza, nel silenzio che è ormai l’unico modo per stare assieme.

Il film di Leigh è il ritratto di un personaggio insostenibile, che rende impossibile qualsiasi identificazione. Completamente egoriferito, incapace di accettare persino l’aiuto e l’attenzione che tutti le riservano, chiuso in un dolore incomprensibile e muto, eppure capace di trasformarsi in un’aggressività ingestibile e persino comica, nelle sue derive extrafamiliari.

Il solito sguardo comprensivo e compassionevole di Leigh questa volta si posa a lungo su una donna il cui dolore è così profondo e radicale da escludere qualsiasi possibilità di redenzione.

Marianne Jean-Baptiste già in Segreti e bugie, costruisce una sorta di villain irrefrenabile, odioso e respingente, fino a quando non sembra crollare definitivamente sotto il peso delle sue malinconie. La sua interpretazione è sublime nella sua durezza e nel suo tentativo di evitare qualsiasi forma di coinvolgimento emotivo da parte di chi guarda.

Come potete immaginare Scomode verità è un film che non concede nulla, che rifiuta l’identificazione positiva, se non con il bellissimo ruolo della sorella Chantelle, in cui ritorna Michele Austin, che pure era già in Segreti e bugie.

In questo dramma tutto privato, Leigh si ritaglia un paio di scene di ordinaria stupidità lavorativa con le figlie di Chantelle, che sembrano incrinare anche il contesto familiare più sereno e giocoso della sorella.

La sua scrittura è come sempre affilatissima e basterebbe osservare la delicatezza con cui tratteggia la parabola di Moses, per comprendere che la scontrosità della sua protagonista non ha intaccato l’umanità profonda con cui Leigh guarda ai suoi personaggi.

Il finale stesso non può che rimanere sospeso, interrotto, forse aprendo solo per Moses una piccola via d’uscita, ma precipitando gli altri nella più desolante presa di coscienza di un tragico impasse familiare.

Leigh non ha risposte semplici e questo suo film pensato prima del COVID, ma girato solo tre anni dopo e respinto sia da Cannes sia da Venezia per motivi che appaiono incomprensibili, resta uno schiaffo che lascia le guance arrossate e la mente confusa, di fronte alla catastrofe familiare e personale che racconta.

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