Woman and Child **
Mahnaz è un’infermiera e madre vedova con due figli ancora piccoli. Vive assieme alla madre e alla sorella che l’aiutano a conciliare le ore di ambulatorio e ospedale, gli obblighi scolastici e quelli familiari.
Il figlio più grande Aliyar è fonte di inesauribili problemi: fuma, gioca d’azzardo, corteggia tredicenne la collega della madre, si fa pagare dalla nonna e dalla sorella per fare i loro compiti, ha la lingua svelta e la bugia sempre pronta. Il sovrintendente scolastico lo sospende, sospettando abbia rigato la sua macchina.
Mentre è a casa assieme al nonno paterno, precipita dalla finestra. E’ caduto dopo aver saputo che la madre ha intenzione di risposarsi con l’autista di ambulanze Hamid oppure la verità è un’altra?
Da quel momento tuttavia la vita di Mahnaz prende una spirale senza uscita. Hamid si innamora della sorella più giovane Mehri e manda a monte le nozze.
Il tentativo di fare luce sulle circostanze in cui è morto Aliyar finisce senza colpevoli. Il nonno e il sovrintendente scolastico si alleano per togliergli l’affido anche della più piccola Neda. La sorella si sposa perchè è incinta di Hamid.
Al suo quarto lungometraggio, Roustaee ritorna in concorso a Cannes dopo il notevole e corale Leila e i suoi fratelli e compone un altro racconto familiare in chiaroscuro, tuttavia dopo aver disseminato trecce interessanti all’inizio, sembra rinchiudersi in una logica vendicativa che lascia sconcertati.
Nelle premesse Woman and Child fa emergere ancora il peso soverchiante del denaro nelle vite dei personaggi, uno degli elementi centrali del film precedente che anche questa raddoppia il carico oppressivo delle tradizioni da rispettare, secondo un modello patriarcale soffocante.
Molto interessante è anche il ritratto di Aliyar, un piccolo criminale in sedicesimo, uno sbruffone deciso ad emergere a qualsiasi costo, nonostante un contesto familiare assolutamente ordinario e borghese. Peccato che poi sparisca dall’equazione del film, lasciando invece una centralità invadente alla madre con il suo dolore vuoto e il tentativo di trovare un colpevole, a qualsiasi costo.
Roustaee confonde le carte, trasforma la mite Mahnaz in un’erinni folle, che si schianta in auto contro quella del sovrintendente, fa licenziare Hamid, cerca di uccidere il suocero e di far divorziare la sorella.
Fortunatamente non tutto le riuscirà, ma il film manipola le attese in modo troppo meccanico e in nome di una morale disturbante. Anche se poi un colpevole davvero emerge per la morte del figlio, il gioco appare a quel punto troppo scoperto: la chiamata di correo non prevede alcuna riflessione sulle sue responsabilità educative, sulla sue assenze.
Anzi tutto è semplicemente derubricato ad una battuta secondo cui Aliyar ha preso modi e carattere dal padre.
Troppo semplice.
Non aiuta il fatto che l’impaginazione barocca e melodrammatica del film e la sua fotografia piatta lo facciano assomigliare ad un brutto sceneggiato televisivo, con le occhiatacce dei protagonisti in primo piano, l’andamento ellittico ed episodico e una grammatica visiva davvero poco attraente.
L’apologo questa volta è fiacco e discutibile, la morale di fondo molto distante dalla nostra, le scelte narrative sbilanciate e le interpretazioni modeste.
Un passo indietro deciso.
