Il terzo capitolo dell’ideale trilogia politica del Cairo che il regista svedese di origini egiziane Tarik Saleh ha girato con Fares Fares, prende di petto il regime di Al-Sisi, le sue doppiezze, le sue opacità.
Se Omicidio al Cairo raccontava la corruzione della polizia e della società prima della rivoluzione del 2011 e La cospirazione del Cairo mostrava gli stessi meccanismi all’interno delle élite religiose e culturali del Paese, questa volta è direttamente il Potere, nei suoi esponenti più in vista, a finire sotto lo sguardo risoluto di Saleh, persona non grata in Egitto da quasi un decennio.
Il protagonista di Eagles of the Republic è un celebre attore cinematografico, George Fahmy, che ha lasciato la moglie il figlio ormai adulto, frequenta un’attrice che ha la metà dei suoi anni e vive pienamente una libertà secolarizzata, che la fama gli consente.
Almeno sino a quando il Dr Manssour, emissario del presidente, non decide di fargli comprendere che le cose possono cambiare molto velocemente. Costretto ad accettare di interpretare il giovane Al-Sisi in un progetto di pura propaganda, viene invitato a cena dal ministro della difesa che vuole coinvolgerlo nelle celebrazioni militari perché tenga un discorso davanti al presidente.
Conosce così la moglie colta e affascinante del ministro, Suzanne, e se ne innamora. Nel frattempo attorno a lui la morsa del regime di stringe sempre di più. Una collega celebre non riesce più a lavorare e gli chiede aiuto, un vicino di casa viene arrestato dalla polizia senza motivo e il suo stesso figlio è oggetto di sottili minacce, da chi intende usarlo per una lotta di potere tutta interna al regime.
Saleh anche questa volta usa il linguaggio del cinema di genere, ma esce dai confini del thriller per costruire quella che appare almeno all’inizio una commedia ai tempi del regime. Così costruisce un meccanismo drammatico che avvolge a poco a poco il suo protagonista, fino a spingerlo verso l’orlo dell’abisso.
Eagles of the Republic mostra la macchina della propaganda in azione, con tutte le sue forzature, le sottili violenze, il terrore di finire nella lista sbagliata, “cancellato” per davvero da un governo tirannico e vendicativo.
La violenza poi esplode solo alla fine, imprevedibile e brutale: il film ci lascia a lungo all’oscuro come il suo protagonista.
Saleh usa un cast composito che Fares Fares guida con la solita ribalda energia, la stessa che assiste il protagonista nel film girato per il regime. Il suo è un ruolo ambiguo, che ruota attorno alle insicurezze e al bisogno di essere amato e riconosciuto, fino ad accettare il patto faustiano con il potere.
La sua fisicità imponente e dinoccolata, il suo volto irregolare e riconoscibile, ne fanno uno dei pochi grandi attori mediorientali popolari anche in occidente e con pieno merito. Anche qui nel ruolo classico dell’uomo assennato, imperfetto e generoso, coinvolto in una storia più grande di lui è capace di donare al suo George Fahmy uno spessore che non ci aspetteremmo e di mostrare al contempo la natura insidiosa di un progetto sulla carta solo patetico.
Attraverso la popolarità dell’attore, il regime si accredita nei confronti dell’opinione pubblica e il leader assume i suoi tratti eroici, lontanissimi da quelli reali.
Al contempo, l’attore cerca di sfruttare in suo favore i suoi nuovi rapporti con il regime, cercando di autare gli amici in difficoltà, finendo in realtà per metterli ancor più in difficoltà.
La disparità delle forze in campo è qualcosa che George comprende troppo tardi, sedotto dalla vicinanza ad un potere che rende possibile ogni cosa. Ma a quale prezzo?
Non meno inquietante Amr Waked (Syriana, Contagion, Wonder Woman 1984) nel ruolo del funzionario che muove i fili del terrore, senza bisogno di impugnare mai un’arma.
E se Lyna Khoudri è poco più che una presenza che si fa via via marginale accanto a Fares Fares, è bello ritrovare sul grande schermo Zineb Triki, la protagonista della formidabile serie Le Bureau des légendes, in un ruolo per molti versi simile a quello.
Se non avete ancora visto Omicidio al Cairo e La cospirazione del Cairo recuperateli il prima possibile, assieme a questo solido Eagles of the Republic, che confidiamo possa arrivare presto anche nelle sale italiane, magari grazie a Movies Inspired che ha distribuito i precedenti.
Saleh fa cinema politico e popolare molto old style, sempre a schiena dritta, ma senza nascondere le debolezze e la codardia di chi diventa suo malgrado strumento del regime.
Circolarmente il finale si ricollega all’incipit: “meglio dimenticare, è il Cairo” avrebbe scritto Robert Towne, con la stessa amarezza.

