Cannes 2025. Two Prosecutors

Two Prosecutors ***

Russia, 1937. Un anziano prigioniero costretto in una cella. Un sacco che contiene lettere e messaggi. Una stufa davanti a lui.

Pian piano comincia a leggerli e a bruciarli. Tra le tante lettere che denunciano torture, confessioni estorte, tradimenti della giustizia comunista e gli ideali rivoluzionari, ce n’è uno scritto col sangue da un detenuto che chiede di poter parlare con il procuratore locale.

L’anziano lo salva. E chissà come il messaggio riesce ad arrivare davvero al giovane Kornev, laureatosi appena tre mesi prima e subito assegnato al ruolo di procuratore, che una mattina si presenta alla prigione, chiedendo di poter vedere il detenuto Stepniak, che è in un braccio speciale e in isolamento.

Dopo una lunga giornata di attesa e di scuse che dovrebbero dissuaderlo, alla fine gli viene concesso di poter parlare brevemente con il detenuto. Stepniak lamenta di essere stato incarcerato dalla polizia politica, che ha cercato con la tortura e l’umiliazione di farlo confessare crimini contro-rivoluzionari mai commessi.

Il giovane procuratore prende a cuore il caso di Stepniak, che aveva conosciuto ai tempi dell’università. Il suo integralismo bolscevico e i suoi ideali lo portano fino a Mosca, nel grande ufficio del procuratore generale, Vishinsky.

L’ucraino Loznitsa torna al cinema di finzione a distanza di sette anni dal corale Donbass, per un apologo secco, implacabile, durissimo, ambientato negli anni delle purghe staliniane, che monta a poco a poco.

Dopo il prologo che cerca una dimensione simbolica che poi non verrà più coltivata, Loznitsa preferisce una regia essenziale, minimalista, algida quasi: adattando il romanzo postumo scritto da Georgy Demidov nel 1969, dopo essere sopravvissuto realmente ai Gulag del regime e pubblicato solo nel 2009 dai familiari e dalle figlie, il regista mostra l’orrore della più infida e insensibile burocrazia di regime.

E’ solo uno dei tanti possibili volti del totalitarismo. La polizia politica, le strutture gerarchiche del potere, la crudeltà individuale, l’assenza di ogni solidarietà personale, la paura di essere solo la prossima vittima: tutto concorre a costruire le condizioni di questa tragedia epocale, che qui sceglie l’essenzialità di una parabola singolare ed esemplare.

Non c’è più verità che conti, di fronte a quelli che vengono definiti e puniti come  comportamenti anti-sociali, non c’è più l’illusione dei valori rivoluzionari: la maschera è caduta, la faccia brutale del regime stalinista è quella melliflua e impenetrabile di Vishinsky, che riceve, ascolta, suggerisce, mantiene un contegno formalmente ineccepibile, appare persino comprensivo.

Ma non c’è scampo al terrore.

Dopo aver a lungo lavorato con i suoi documentari su quegli anni oscuri e sul destino recente della sua patria adottiva l’Ucraina, Loznitsa costruisce un manifesto kafkiano contro ogni Potere e ogni ingerenza poliziesca, illuminante anche per le brutalità e i soprusi di oggi, dai dissidenti incarcerati ed eliminati da Putin, agli impulsi autoritari sempre più evidenti e del disprezzo per ogni regola democratica dei Trump, degli Orban e dei loro sodali.

Two Prosecutors fa del suo giovane protagonista un uomo integerrimo e non corrotto, determinato e attento, ma evidentemente ancora inconsapevole di quello che accade quotidianamente attorno a lui e della catena di comando che è responsabile inesorabilmente di ogni abuso.

Non ci sono mele marce, ma è tutto il cesto a essere putrido, per volontà di chi lo regge.

La regia di Loznitsa è costruita attraverso una successione di piani fissi, che dilatano le attese infinite a cui è costretto Kornev e lo schiacciano nell’atmosfera opprimente dei luoghi in cui si esercita il potere. Ma il senso di quello che sta accadendo è tutto nel margine dei dialoghi tra i personaggi: quello con il sovrintendente della prigione, quello con il prigioniero, quello con il procuratore generale. Si tratta di partite a scacchi, in cui le mosse rimangono per lo più nascoste e indecifrabili, sino all’austero e amaro scacco finale.

Essenziale.

 

 

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