Due sorelle Yun e Mei in una dispersa provincia Cina sfidano la legge del figlio unico voluta da Deng nel 1979: il padre insegna loro i principi del kung fu, ma quando arriva un anonimo postino, Mei, la più piccola è costretta a rifugiarsi in un nascondiglio con la madre.
Molti anni dopo ritroviamo Mei, trasportata di nascosto in un cunicolo sotterraneo, in cui si muove un’umanità corrotta e criminale. Grazie alla sua straordinaria forza riesce a farsi largo tra gli scagnozzi del potente Mr. Wang, alla ricerca della sorella che lavorava in uno dei suoi bordelli e che è sparita nel nulla da giorni. La risalita dai cunicoli bui e poi dai boudoir, passando per le cucine di un ristorante verso la luce del giorno ci mostra che non siamo più in Cina, ma all’Esquilino, vicino Piazza Vittorio, a Roma, in quartiere multietnico in cui violenza e sfruttamento solo il pane quotidiano di un’esistenza spesso vissuta sottotraccia.
La soffiata della Maitresse spinge Mei – che non parla una parola di italiano e si aiuta grazie ad una app sul cellulare – al Ristorante di Alfredo: Yun infatti è sparita con il titolare, un uomo di sessant’anni che per lei ha abbandonato la moglie Lorena e il figlio Marcello, che cucina esausto cercando di sopravvivere al caos capitolino.
A contrastare il potere di Mr. Wang c’è lo strozzino Annibale, amico fraterno di Alfredo e segretamente innamorato di Lorena, che vive sfruttando le altre comunità e va in giro con due mastodontiche guardie del corpo.
Nessuno dei due però ha fatto i conti con la furia vendicativa di Mei, decisa a tutto pur di ritrovare la sorella, che ha vissuto per tutti questi anni anche per lei, costretta a restare chiusa in casa, senza diritti e senza identità.
Il terzo film di Gabriele Mainetti, formidabile regista di corti, prima di debuttare con il piccolo grande Lo chiamavano Jeeg Robot nove anni fa, è il più maturo e compiuto dei suoi lungometraggi.
Da sempre innamorato di generi lontanissimi dalle coordinate del cinema italiano, fieramente ostinato nel voler contaminare con l’etica dei comic book e dell’animazione un immaginario che ne sembrava completamente estraneo, coraggioso nel suo modo di sfidare ogni convenzione e ogni pregiudizio distributivo, costruendo i suoi meravigliosi antieroi con una stoffa inedita per la nostra sartoria artigianale, Mainetti – dopo aver esplorato la Roma occupata con i suoi “fantastici quattro” di Freaks Out – questa volta sposta il suo sguardo verso il cinema defunto di Hong Kong, mediato attraverso le riletture occidentali di Tarantino e Bruce Lee.
Il risultato è spiazzante: un melò della vendetta, in cui l’amore è quasi sempre il rimpianto di un passato perduto e il presente è solo sopraffazione e adattamento. L’abilità formidabile di Yaxi Liu restituisce al film tutta la frenetica eleganza dei gesti netti e feroci delle arti marziali, in cui la forza degli avversari è sfruttata contro di loro, in un continuo ribaltamento di campo.
La sceneggiatura scritta da Mainetti con Davide Serino e Stefano Bises (Esterno notte, M – Il figlio del secolo) ha qualche evidente caduta di tono e qualche buco d’azione, dovendo spingere la sospensione dell’incredulità sino a restituire la natura archetipica dei suoi personaggi, che si muovono secondo coordinate semplici.
Lo stesso Mainetti ha dichiarato a proposito dei nuovi partner di scrittura: “Bises e Serino sono due grandissimi sceneggiatori ma d’azione, di Hong Kong ad esempio, non sanno niente. Non la conoscono. Anche lì quindi c’è stato un incontro culturale. Stefano, ad esempio, è estremamente ideologico e politico. Abbiamo lottato, però chiaramente la pensiamo allo stesso modo, cioè su questo incontro di generi. È la forma meno sciovinista che ci possa essere nel dire: il cinema italiano è questo”. [1]
E allora il regista si affida ai suoi interpreti e al loro carisma: l’invisibile Alfredo di Luca Zingaretti che ha una sola scena ma decisiva, l’Annibale di Marco Giallini, l’unico ad avere un arco compiuto, che lega passato e presente e racconta davvero motivazioni, illusioni e pregiudizi contemporanei e infine la Lorena di Sabrina Ferilli nel il ruolo di una mamma roma tradita dalla vita. Il villain Mr. Wang resta invece troppo monodimensionale e anche il suo rapporto con il figlio rapper è strumentale e mai davvero sentito. Piuttosto debole anche Enrico Borello, al suo terzo ruolo importante, che interpreta Marcello, schiacciato, un po’ come accade al suo personaggio, dall’invadenza degli altri: sarà anche portato di un maschile nuovo e non violento, ma finisce per essere un po’ “vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”.
Questo tuttavia non toglie piacere e stupore nell’assistere al tour de force immaginato per loro dal regista, anche grazie alla fotografia calda di Paolo Carnera che immerge i personaggi in interni saturi e spesso in controluce e in esterni quasi sempre notturni, come nel bellissimo omaggio a Vacanze Romane con la coppia di protagonisti in sella ad una vespa a spasso tra palazzi e rovine della Capitale.
Non meno essenziale il montaggio di Francesco Di Stefano, capace di restituire tutta l’irrequietezza e la confusione di protagonisti accecati dalle proprie passioni.
E’ l’istinto sentimentale a tradirli tutti: Alfredo che si innamora della prostituta Yun, Annibale che rivendica un’eredità “romana” che non ha più ragione di esistere, lo stesso Mister Wang che si espone quando va ad assistere al concerto del figlio che l’ha ripudiato e ovviamente Mei che è animata da una furia cieca incapace di trovare pace.
Mainetti cerca di tenere assieme il romanzo criminale con il rigore geometrico e la leggerezza orientale: non sempre ci riesce, ma l’obiettivo è coraggioso, inedito, da sostenere senza riserve.
La sua protagonista è una furia inafferrabile, animata dalla malinconia e dal dolore di chi ha vissuto una vita in prestito.
Come l’irredenta Mei, il cinema di Mainetti si rialza continuamente, non si rassegna all’ovvio, cerca l’attacco, l’opportunità, lo spazio per disegnare un nuovo esito.
Peccato che Piper Film, che distribuisce il film nelle sale – ben 400 – non sembri molto interessata a promuoverlo tradizionalmente, preferendo questa volta una campagna soprattutto social. Il trailer rilasciato appena un mese prima dell’uscita, l’anteprima a una settimana dal lancio, un silenzio assordante che speriamo non finisca per inghiottirlo, perché anche questa volta Mainetti ha fatto qualcosa di completamente diverso. E l’ha fatto con grande generosità.
P.S. alcuni poster del nuovo film, richiamano quelli di Jeeg: la stessa felpa col cappuccio, la stessa posa zenitale sulla città eterna. Chissà se Mei e Enzo Ceccotti condividono lo stesso universo narrativo, un po’ come accadeva a Kevin Wendell Crumb e David Dunn nella trilogia di M.Night Shyamalan. Sarebbe divertente scoprirlo…
[1] Dikotomiko, Gabriele Mainetti Unchained. Il regista dice tutto, Nocturno 13.3.2025

