Kraven – Il cacciatore

Kraven – Il cacciatore *

Ennesimo imbarazzante adattamento di un personaggio dell’universo Marvel per il grande schermo, Kraven – Il cacciatore è quanto di più anodino, inconsistente e puerile sia mai apparso in una sala cinematografica, almeno a parità di investimento.

Viene da chiedersi quale motivo abbia spinto un regista raffinato come J.C.Chandor (Margin Call, All is lost, 1981: Indagine a New York) ad accettare di mettere il suo nome alla fine di una sciocchezza simile.

Un disastro acuito da un doppiaggio italiano che grida vendetta, continuando a simulare quel terribile accento russo da barzelletta degli anni ’80.

Il film comincia in media res con l’antieroe misterioso, che tutti chiamano il cacciatore, che penetra in una prigione di massima sicurezza per uccidere un boss della malavita, che dal carcere continuava a gestire il malaffare.

Kraven, questo è il suo nome, vive isolato in un rifugio nella tundra siberiana, come un novello Thoreau. Un lungo flashback ci racconta come è diventato questa sorta di vigilante invincibile e ferino.

Figlio del mafioso russo Nikolai Kravinoff, durante un safari di caccia in Africa, viene attaccato da un gigantesco leone: in fin di vita, una ragazzina gli somministra una pozione magica che la nonna le aveva appena consegnato.

Da quel momento acquista poteri sovrumani, si risveglia dalla morte, affronta e si ribella al padre-padrone e abbandona la villa londinese di famiglia per rifugiarsi nel suo covo siberiano, lasciando dietro di se il più debole fratello Dimitri.

Nel presente, Kraven ritrova in Inghilterra la bambina che gli ha salvato la vita e di cui non sapeva nulla. Ormai adulta, Calypso è un avvocato che difende clienti poco raccomandabili.

Assieme si troveranno ad affrontare le macchinazioni di Rhino e dello Straniero, due criminali nemici dei Kravinoff, che rapiscono Dimitri e chiedono un riscatto.

Il racconto è sufficientemente superficiale da lasciare del tutto indifferenti alle sorti dei personaggi. Gli interpreti poi fanno di tutto far perdere al film qualsiasi residua credibilità.

Aaron Taylor-Johnson, in predicato come prossimo James Bond, sembra interessato solo a rimirarsi il six pack degli addominali scolpiti in bella vista, in un paio di sequenze di suprema ironia involontaria.

Russell Crowe recita da anni solo per il suo paycheck, imbolsito come non mai, ma almeno è evidente che sta prendendo tutto con ironia, senza mai credere per un secondo alle tremende battute che gli tocca recitare. Ariana DeBose, premio Oscar per West Side Story, è qui svilita del tutto in un ruolo inutile e implausibile.

Quanto al povero Fred Hechinger, dopo il disastroso ruolo di Caracalla nel Gladiatore II è costretto a gigioneggiare nuovamente nella parte di Dimitri, il fratellino debole ed emaciato, che dopo aver dato grande prova di sé – è un eufemismo – eredita l’impero di famiglia.

Ancora peggio è andata a Christopher Abbottche senso ha il suo Straniero? e Alessandro Nivola-Rhino: ma quest’ultimo è già apparso in The Brutalist e La stanza accanto, evidentemente i film buoni erano finiti.

In tutto l’universo Marvel è chiaro che la parte affidata alla Sony con Venom, Morbius e questo Kraven è quella più debole e mediocre. Il problema enorme è evidente già in fase di scrittura. Questi script sembrano uscire dal cestino di un vecchio Mac degli anni ’90. Sono del tutto inconsapevoli di quanto fatto nel cinema tratto dai comics negli ultimi 30 anni, dai lavori di Burton e Raimi, da Shyamalan, Nolan e Del Toro, fino ad arrivare alla lunghissima saga degli Avengers, e alle serie Watchmen e The Boys.

La sceneggiatura scritta da Richard Wenk, Art Marcum e Matt Holloway, sa di muffa, non sta in piedi neppure per un secondo, con i suoi rovelli edipici dichiarati venti volte, le sue vendette bamboccesche, i suoi fratellini da proteggere, i suoi personaggi metà umani metà animali, figli di una cgi che neanche in un film della Troma.

L’universo dei valori in gioco è francamente risibile: il giustiziere – figlio di un criminale – contro i poteri forti della malavita e del bracconaggio. Ma perchè?

René Ferretti avrebbe forse potuto trarne qualcosa di buono.

J.C.Chandor invece non ci mette davvero nulla di suo e c’è da chiedersi se un film così non possa essere diretto allo stesso modo da un’intelligenza artificiale. Non c’è mai tensione, latita lo spirito artigianale, non pervenuta neppure una qualche competenza di genere. L’elemento umano è assente.

Il protagonista, che dovrebbe essere un villain, è rappresentato in questa origin story come se fosse un supereroe. Un super però senza nessuna introspezione, senza alcuna profondità. Completamente trasparente nelle sue intenzioni e nei suoi metodi.

I russi sono ritratti come cattivoni da operetta, l’interazione con le bestie feroci solo un motivo per qualche jump scare, il resto è sciatto e vuoto.

Stendiamo un velo.

Abissale.

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