Prima di salire sul ring Esteban Osuna consuma un rito. Come dice il suo procuratore Andy Pérez, cos’è più importante della superstizione del campione? Il protagonista di Máquina è un pugile di trentotto anni all’apice della notorietà. Quella maledetta sera però qualcosa va storto, la bibita al tamarindo non è quella desiderata e Esteban perde l’incontro. La sconfitta è cocente. Il pugilato non è un gioco, sentiamo dire nelle battute iniziali. Non è un gioco e, per una volta, non è nemmeno sinonimo di riscatto. La serie Disney+, interamente messicana, liquida molta retorica cinematografica sull’argomento.
La boxe è qui teatro, messinscena, finzione. Dopo il match, Andy va a contrattare il mondo degli affari che di Esteban, detto La Máquina, non ne vuole più sapere. Vecchio, finito, andato. Per gli sponsor il “vecchio” Esteban non ha nulla da offrire. Ma non è forse vero che la maledizione del pugile, di ogni pugile, sta nel non voler accettare che un match possa essere l’ultimo? Andy, opportunista e cialtrone, lo convince a combattere ancora. Lui accetta la sfida… e vince.
I conti non tornano. Lo intuiamo. Lo vediamo. Lo stesso Andy lo rivela a Esteban. Da sempre, cioè dall’inizio della carriera, i suoi incontri sono stati truccati. La faccenda, già complicata, diventa ingarbugliata. Dietro il trucco c’è un altro trucco. Quando il suo assistito viene pesato prima del combattimento, Andy non capisce. Il funzionario della federazione ha appena rifiutato i soldi offerti per accomodare la bilancia. Eppure i chilogrammi di Esteban risultano perfetti per la categoria dei pesi welter. Sta accadendo qualcosa. I sospetti diventano presto certezze. Nella vita di Andy si materializzano vecchi fantasmi.
Gael Garcia Bernal e Diego Luna, chiamati a interpretare Esteban e Andy, sono grandi amici e più volte hanno lavorato insieme sul set, fin dai tempi di Y tu mamá tambien di Alfonso Cuarón (2001), per il quale vinsero il Premio Marcello Mastroianni alla Mostra del Cinema di Venezia. “Eravamo acerbi, lucidi e ancora un po’ bambini. Nel tempo abbiamo dovuto trovare, come attori, una nuova innocenza”, ha dichiarato Bernal.
L’attore che prestò il volto al Che Guevara di Walter Salles (2004) si conferma su altissimi livelli, donando al personaggio Esteban schiettezza ed umana fragilità. Povero pugile, manovrato da forze oscure e costretto ad accettare un terribile verdetto medico. La TAC rivela una demenza progressiva e irreversibile. Il suo cervello è devastato dagli ictus. Come se avesse sbattuto sul muro ogni giorno della sua vita, dice la dottoressa che lo ha in cura.
Lesioni cerebrali. Questo è il motivo per cui Esteban sente voci e dialoga con persone inesistenti. Un uomo con i baffi lo perseguita, un fantasma, ombra e riflesso della sua difficile infanzia. Il racconto scava nel passato di Esteban: il padre scomparso nel nulla quando lui aveva dieci anni (e già boxava), il vago ricordo di un magazzino buio e di manifesti alle pareti, quella porta chiusa con un lucchetto e il coetaneo Andy che lo libera.
Non ho mai avuto alternative, hai sempre deciso tutto tu. Esteban rinfaccia a Andy di averlo manipolato. Eppure anche lui, al pari di tutti, non ha avuto scelta. Marionetta tra marionette, il parassita Andy sconta un rapporto morboso con l’orrenda madre Josefina (interpretata dalla regina delle telenovelas Lucía Mendez), mentre con la moglie Carlota (Karina Gidi, interprete nel 2017 di Eterno Femminile, film sulla vita della poeta Rosario Castellanos) condivide grotteschi tentativi di procreazione. Il manager è un figlio che deve sfornare un bebè per rallegrare la casa, in definitiva un maschio inchiodato alla debolezza del proprio seme.
Diego Luna, bravissimo, è quasi irriconoscibile. Cos’ha in volto Andy? Botox o qualcosa di peggio? La maschera, destinata a sfaldarsi durante il funerale di Saul (il fratello della moglie assassinato da una sicaria), pare il retaggio di qualche oscena prassi chirurgica tipica dei super ricchi. Su un piano morale, la faccia sfigurata è un’allegoria del vizio, della corruzione, della perdita di ogni freno inibitorio in nome del profitto.
Esteban sa di essere stato tradito dall’amico. I rapporti umani sono falsati, i trionfi sportivi sono una menzogna. L’unica figura solida, in un quadro di incertezze, è Irasema, l’ex moglie del pugile, interpretata dalla cantante e attrice Eiza González (Il problema dei tre corpi). Irasema, giornalista, crede nella professione e conserva per Esteban un reale sentimento di affetto. La ricerca della verità, però, è pericolosa.
Máquina scivola in un genere diverso da quanto ci si poteva aspettare. Un thriller, sì, ma con accenti mistery dai risvolti velatamente metafisici. La presenza dietro ai combattimenti di Esteban è un organismo mafioso senza volto. Il luogo di contatto, un autolavaggio, rappresenta una soluzione scenica dalle evidenti sfumature metaforiche. Qualcuno manovra le vite altrui da dietro le quinte. Qualcuno o forse qualcosa.
Irasema, figlia d’arte, si lancia in un’inchiesta. Perché tanti match finiscono con un KO improvviso? E se fossero condizionati dalle scommesse? La giornalista rintraccia un vecchio campione ridotto in stato vegetativo con l’obiettivo di intervistarlo. Io dovevo perdere, riesce a dirle l’ex boxeur con un filo di voce. Anche Irasema viene agganciata dalla misteriosa mafia. Nel solito autolavaggio, si imbatte in un non volto. L’inquadratura dello specchietto retrovisore è bellissima e inquietante. L’eminenza grigia le intima di smetterla. La minaccia pesa sui figli.
Il prossimo combattimento sul ring è calendarizzato. Il rivale di Esteban, Harry Felix, rappresentante della boxe inglese, vanta la bellezza di ventisei incontri vinti consecutivamente. Un osso duro. In palio c’è il titolo mondiale. Máquina affastella tensione su tensione. Sarà l’ultima sfida di Esteban. Non ci sono alternative alla sconfitta. I giorni scorrono inesorabili e avvicinano la sentenza. Il campione di Jalisco accetterà di andare al tappeto al round prefissato? La serie molla la presa sulla boxe e lo sport in senso stretto, spostando il focus sugli ingranaggi orwelliani del sistema, sulla paura e sul mistero che si infittisce.
Purtroppo il minutaggio complessivo risulta un po’ troppo esiguo rispetto alle potenzialità delle storie, con il risultato di sacrificare lo sviluppo dei personaggi. Una delle figure “minori” degne di interesse è il cubano Sixto, o per dirla tutta Sixto Xavier Lenin Moncada Ramirez, l’allenatore della Máquina, interpretato da Jorge Perugorria (Fragola e cioccolato, Ritorno a L’Avana). Sixto si lancia in un tentativo di cura sperimentale mutuato da tecniche di manipolazione imparate dai russi e… in una spiegazione del mito della caverna di Platone che Esteban comprende in pieno.
Zamira (Dariam Coco, vista nella serie Netflix Benvenuti a Eden), la giovane ballerina incontrata da Esteban, è un altro personaggio non completamente sfruttato dagli autori. Resta comunque la scena della cena nel ristorante di lusso, con il pane ricoperto da una patina d’oro a 14 carati servito a tavola, messa a contrasto con la festa popolare, dove il pugile si abbandona a giochi e prove di resistenza dal sapore liberatorio.
Piccole rivelazioni gettano luce sulle ramificazioni di un potere invisibile. Sarebbe interessante immaginarle quali premesse di future escursioni narrative, evoluzioni laterali del racconto da approfondire, magari, in un’eventuale seconda stagione. Il padre di Irasema ha pagato le proprie inchieste con la vita, per qualcosa che va oltre la boxe. Andy ha commesso un errore di gioventù, sicuramente il suo primo incrocio con la mafia senza volto. Prima di morire, l’anziano padre (appena ritrovato) dice ad Esteban di essere stato costretto ad abbandonarlo. Per colpa dei soliti ignoti. La possibilità della violenza è un sottotesto permanente.
Il protagonista vive nel presente i traumi ereditati dal passato. I suoi rapporti complicati con le donne ne sono l’emblema. Máquina denuncia il carattere illusorio della libertà. Il controllo non viene mai meno e invade anche le occasioni di intimità. E poi c’è il futuro, che passa nuovamente dai guantoni, in un passaggio di consegne spiazzante.
Nell’ultimo episodio seguiamo le fasi del match finale di La Máquina e in parallelo il convulso ed eroico canto del cigno di Andy. Il procuratore, abbandonato dalla moglie, isolato e schiacciato dagli eventi, decide di restituire all’amico pugile il maltolto. È un’espiazione. Andy offre se stesso, ricchezza accumulata compresa, in cambio della salvezza familiare altrui. Al sesto round, Sixto convince Esteban della vittoria. Goditela, sii felice. Un azzardo pericoloso, perché Harry Felix, contro ogni aspettativa, si sgretola sotto i suoi pugni. Se non fosse che tutto è predeterminato, giudizi degli arbitri inclusi. Gli ordini, in definitiva, misurano la fedeltà dei sottoposti al sistema.
Fa male pensare che non esista una correlazione tra gli sforzi compiuti nell’arco temporale di un’intera vita e i risultati sportivi ottenuti. La serie è abile nel capovolgere i luoghi comuni sul tema, facendo di un uomo ormai atleticamente al tramonto, dato per perdente, l’antieroe per eccellenza. A differenza della maggior parte dei film sulla boxe, che puntano sulla retorica di una formazione personale a suon di cazzotti, anche per celebrare una volontà di potenza in certi casi molto legata a istanze di riscatto proletario, Máquina usa strumentalmente l’argomento per raccontare la decadenza morale di un mondo dominato da un Leviatano onnisciente.
Il riferimento all’allegoria contenuta nel settimo libro della Repubblica è quindi calzante. Anzi, si potrebbe dire che Máquina è una sorta di traduzione dell’archetipo filosofico in chiave thriller e cospirazionista. Esteban e Andy sono entrambi legati sul fondo della caverna e vedono davanti a sé le illusorie proiezioni di una realtà controllata da altri. La rottura delle catene non conduce però alla verità, ma… tra le braccia alla morte. Questa tragica conclusione è plausibile da credere. Tuttavia, nonostante le circostanze siano nemiche della speranza, i due amici non possono esimersi dal fare esperienza di ciò che verrà dopo. Perché la serie, all’ultimo respiro, ci chiede di avere fiducia nello spirito di resistenza del genere umano, nella magia del dono e nella possibilità di far rinascere i propri sogni in maniera inaspettata.
Máquina non minimizza il ruolo dei media nella narrazione del mito sportivo. I programmi televisivi amplificano le attese. Farsi un selfie con il campione è una prassi inevitabile e l’attrazione di Esteban per Zamira nasce anche da una felice evidenza: la ragazza, al primo approccio, mostra di non riconoscerlo. Il girone dantesco delle scommesse affonda in una palude digitale. Irasema intuisce il legame tra le sconfitte e i post virali. La fuga di Esteban a La Fonda, il luogo dove la sua carriera è iniziata, oltre a rappresentare un ritorno nel grembo delle origini, segna uno stacco dalle iperconnessioni frenetiche del nostro tempo. Ci si può illudere, laggiù, di non essere rintracciati.
La serie è stata sviluppata da due sceneggiatori messicani con sensibilità differenti. Di Fernanda Coppel si ricordano Regina del Sud, Le regole del delitto perfetto e la versione seriale di Dal tramonto all’alba. Marco Ramirez ha lavorato per The Twilight Zone, Daredevil e The Defenders. Ne è scaturito un prodotto ibrido. Il dramma sportivo confluisce nella paranoia. La commedia umana si tinge di grottesco. Nessuno si aspetti la classica ostentazione di sangue, tagli e setti nasali spaccati. Máquina racconta di ferite assai più profonde, forse impossibili da suturare.
Numero di episodi: 6
Durata: 30 – 50 minuti l’uno
Distribuzione: Disney+
Uscita in Italia: 9 Ottobre 2024
Genere: Sport Drama, Thriller
Consigliato a chi: conosce un test per sistemare la mente, pratica le arti marziali in casa, ha un amico che si traveste da mascotte.
Sconsigliato a chi: abbina la seta alla parola comfort, pensa che in tv si possa dire la verità, desidera un bagno super accessoriato.
Visioni e letture parallele:
- Sulla prima donna pugile italiana alle Olimpiadi: Butterfly, di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman (2019). Disponibile su Raiplay.
- Del grande scrittore messicano Carlos Fuentes: Destino, Il Saggiatore (2012).
- Del mitico Jack London: Una colpo da KO. Storie di boxe, Nova Delphi editore (2021).
Una parola d’ordine: melagrana.


