Dopo le avventure con gli X-Men e Cable nello spazio tempo del secondo capitolo, Deadpool si sposta sulla Sacra Linea Temporale (Terra-616) e cerca di farsi arruolare senza successo negli Avengers. Ritiratosi a vendere macchine, Wade Wilson festeggia un mesto compleanno prima che gli uomini della TVA, la Time Variance Agency, lo rapiscano portandolo davanti a Mr.Pradox, un agente che si occupa degli universi che hanno perso la loro ancora.
Nel mondo di Wade Wilson (Terra-10005) l’ancora era Logan, deceduto nel film di James Mangold, per salvare la mutante X-23: il suo universo è destinato ad estinguersi lentamente, ma Mr.Paradox con un dispositivo chiamato Time Ripper è intenzionato a terminarlo immediatamente, spostando Deadpool su Terra-616.
Nonostante le lusinghe, Wade decide di invece di tentare di salvare i suoi affetti più cari e cerca in altre linee temporali un nuovo Wolverine che possa sostituire l’ancora del suo mondo.
Dopo molte versioni alternative, sceglie un Logan depresso e alcolizzato, che ha visto morire tutti gli altri X-Men.
Mr. Paradox riesce però a spedire entrambi nel Vuoto, una sorta di limbo in cui sono esiliati i personaggi perduti e dispersi: qui regna Cassandra Nova, la potentissima e malvagia sorella di Charles Xavier. Riusciranno Deadpool e Wolverine a ritornare su Terra-10005 e a salvarlo?
Il nuovo, trentaquattresimo film del MCU, è un unico gigantesco inside joke per i nerd della Marvel.
Nel film appaiono attori e personaggi di film dimenticati e mai realizzati, soprattutto quelli prodotti dalla 20th Century Fox. nel limbo campeggia infatti la rovina del grande logo della celebre compagnia, come nel finale de Il pianeta delle scimmie, monito e ricordo nostalgico di quello che è stato e non sarà più.
Eppure il lavoro scritto da Shawn Levy con Ryan Reynolds, con la coppia Rhett Reese e Paul Wernick e con Zeb Wells pur mantenendo il solito stile sboccato e goliardico del vigilante in rosso, lo ibrida con la gravitas e il senso di colpa di un Wolverine funereo e malinconico.
Le due anime narrative e forse le troppe mani in fase di scrittura creano un film ancora più sfrangiato e sgangherato del solito, che si muove faticosamente con continue accelerazioni e frenate, senza mai trovare il ritmo giusto e crollando miseramente ogni volta che l’azione lascia il passo a… una serie di scene che rimangono di puro raccordo.
Deadpool & Wolverine ha gli stessi identici problemi degli altri film dell’MCU post Endgame: il multiverso è di una noia micidiale, il continuo sovrapporsi di linee temporali è solo una scorciatoia per scrivere male e in modo sciatto, i personaggi entrano ed escono in un continuo susseguirsi di cameo, che vorrebbero strizzare l’occhio ai fans, ma che finiscono alla lunga solo per irritare.
La coerenza narrativa certosina che Feige aveva preteso per legare le avventure dei suoi personaggi da Iron Man sino al redde rationem con Thanos, è ormai perduta del tutto, limitandosi al richiamo – con citazione esplicita – di personaggi e attori del passato.
Se il tentativo del film di Levy era quello di ironizzare sul sostanziale fallimento di questa lunga fase dell’MCU, onestamente il tentativo non è riuscito, perché Deadpool & Wolverine è parte del problema, non certo della soluzione. Un’autocelebrazione spudorata solo appena mascherata, immersa nel pop più sfacciato possibile – dagli NSYNC a Madonna – con un continuo ricorso alla rottura della quarta parete: ma non basta rivolgersi direttamente al pubblico per averlo dalla propria parte.
La sensazione è quella di trovarsi di fronte ad una riflessione che finge l’autocritica, ma con la solita hybris, sembra dire al contempo: avete visto che fine hanno fatto i tentativi alternativi (quelli della 20th Century Fox)? Alla fine, nonostante qualche errore, siamo gli unici in grado di portare avanti il discorso con una certa competenza e con la forza che ci viene dalla potenza del nostro brand e di quello della Disney.
Possiamo permetterci tutto, persino di prenderci bonariamente in giro, senza davvero mai approfondire il senso dei nostri errori, costruendo un film tutto ripiegato su se stesso, metacinematografico nel senso peggiore del termine, chiuso in una logica per iniziati, tanto il culto è vasto e diffuso in tutto il mondo.
E con in più l’aggravante di aver sporcato e svilito l’eredità di un piccolo capolavoro del genere come il Logan di Mangold, letteralmente profanato fin dalla prima sequenza.
Basta mostrare Wolverine finalmente nel suo costume giallo per far scattare quel senso inevitabile di nostalgia che travolge ogni giudizio, amplificato dalle apparizioni di molti altri eroi (cinematograficamente) sfortunati.
Un po’ come già accadeva in Spider-Man: No Way Home, l’epifania è sufficiente a far scattare meccanismi identificativi ed emozionali immediati. Ma lì ancora c’era il tentativo di raccontare qualcosa. Ora il giochino è scoperto e non c’è più nulla da raccontare.
E per una società che aspira ad essere la Casa delle Idee, il paradosso sembra proprio essere quello di non averne più nemmeno una.

