Baby Reindeer: emozioni forti in una serie originale

Baby Reindeer ***1/2

Una donna, piuttosto trasandata, entra in un pub. Il barista, mosso a compassione dal suo evidente stato di disagio, decide di offrirle una tazza di tè e così inizia a parlare con lei. O meglio, è lei ad iniziare a parlare con lui e continuerà nei giorni successivi, fino ad assillarlo, pedinarlo, minacciarlo verbalmente, interamente assorbita da un rapporto di dipendenza passivo/aggressivo che il barista non sembra in grado di controllare. Il ragazzo, Donny, è un aspirante comico, trasferito dalla Scozia a Londra con la speranza di ottenere successo nel mondo dello spettacolo: nasconde una storia di abuso che lo ha segnato indelebilmente. Anche la donna, di nome Martha, nasconde un passato inquietante…

La serie è basata su quanto realmente accaduto al comico inglese Richard Gadd, stalkerato per 4 anni con 41 mila e-mail e oltre 300 ore di messaggi vocali.

Baby Rendeer non è una visione facile perché ci mette davanti alle nostre fragilità più riposte. Non solo, ci mostra la forza di queste fragilità, il loro radicarsi in profondità nel nostro essere. Talvolta crediamo di averle estirpate, mentre la radice è ancora lì, pronta a ricrescere. Così avviene per il protagonista: in quel monologo potente e disperato con cui si conclude il sesto episodio, Donny crede di aver estirpato in modo definitivo il suo demone autodistruttivo, ma non è così; confessandosi ai genitori a cuore aperto pensa di aver rimosso una volta per tutte il suo problema ad accettare la bisessualità come parte di sé, ma anche in questo caso la liberazione risulta effimera; con l’arresto di Martha sembra aver concluso l’influenza della donna nella sua vita, ma finisce per essere lui stesso a prolungarla trascrivendo e catalogando minuziosamente tutti i messaggi che ha ricevuto, anche quelli che non aveva mai ascoltato. Tra questi peraltro uno svela il mistero del soprannome, Baby Renna e gli lascia la consapevolezza di quanto la donna lo avesse investito di un ruolo salvifico, proprio come aveva fatto da bambina con il pupazzo con le sembianze di una renna che teneva sempre con sé quando i genitori litigavano.

La scrittura di Richard Gadd è chirurgica nello scandagliare le emozioni dei protagonisti, in particolare quelle di Donny e Martha. Quest’ultima viene presentata con grande attenzione alla sua complessità psicologica, grazie soprattutto allo sguardo di Donny, che le attribuisce sempre valore umano. Tra i due si crea da subito un legame speciale, in quanto entrambi riescono a sentire e a percepire il dolore dell’altro, quello che si nasconde sotto la maschera che si sono reciprocamente creati e a cui hanno finito per aderire così perfettamente da perderne la consapevolezza. La particolarità del loro rapporto sta tutta in questo intreccio inestricabile di emozioni, di empatia e dipendenza reciproca. La sceneggiatura è interpretata da attori in stato di grazia: sia lo stesso Gadd nei panni di Donny che Jessica Gunning in quelli di Martha riescono davvero a trasmettere in modo convincente le emozioni dei due protagonisti, la loro complessità psicologica, le montagne russe emotive che sperimentano e su cui trascinano presto anche lo spettatore.

Quella che si presenta come una storia di stalker al femminile ha così presa sul pubblico perché racconta una molteplicità di tematiche: si va dall’abuso al bullismo, dalle dipendenze alla percezione dei transessuali, dall’autoreferenzialità del mondo dello spettacolo all’utilizzo dei social media come strumento di persecuzione. A pensarci bene l’uso della tecnologia in questa serie ha effetti non dissimili da quelli spesso descritti in Black Mirror: una forza fuori controllo che, in mano ad uomini dis-adattati, stravolge la vita delle persone che la subiscono. Ci sono poi altri accenni forse un po’ approssimativi, come il riferimento alla chiesa cattolica che viene associata, in modo molto semplicistico, a pratiche pedofile.

La regia è stata curata da Weronika Tofilska (Love Lies Bleeding) e Josephine Bornebususch (Bad Sisters) con grande attenzione e rispetto per le emozioni dei protagonisti. La scelta di adottare spesso inquadrature in primo o primissimo piano rende al meglio le emozioni di Martha e Donny: in particolare il senso di paura e di disperazione che prova il protagonista è evidente fin dalle prime inquadrature, da quando cioè lo vediamo entrare in una stazione di polizia per sporgere denuncia. La fotografia rende con particolare efficacia i colori degli interni, giocando con scelte cromatiche differenti a seconda della situazione rappresentata; d’impatto anche la colonna sonora che spesso è in contrasto con le scene rappresentate per tonalità drammatica. Tra le canzoni ci sono pezzi storici, come Love is the drug dei Roxy Music, I go to spleep di Peggy Lee, la struggente Farewell, Farewell dei Fairport Convention o ancora Cars di Gary Numan. Musiche e testi che parlano di drammi come la scomparsa di amici o di difficoltà inella relazione con il mondo esterno, dovute a problemi caratteriali o a vere e proprie malattie neurologiche.

Seguire la serie non è semplice, richiede disponibilità e la voglia di gestire situazioni emotivamente impegnative, anche per possibili analogie con vissuti personali. La negoziazione con il protagonista è peraltro abilmente costruita e costantemente sollecitata dagli sguardi in macchina, dai primi piani, dai tanti monologhi, dalla “modalità confessione” con un amico. E’ questa continua interlocuzione con lo spettatore che accompagna tutto il racconto.

Donny, che si presenta in piena continuità con gli eroi moderni, non compie gesti eclatanti o azioni esemplari, anzi, la sua reazione è sostanzialmente assente o, quando arriva, si presenta come discutibile al punto da ritorcerglisi contro, screditandolo agli occhi della polizia. Non solo, la sua tendenza autodistruttiva lo porta spesso a comportamenti che sembrano invitare Martha a continuare con lo stalkeraggio. E’ un eroe che si limita a resistere e forse alla fine, dopo tutto e al di là di tutto, è proprio questo il tratto che più ci permette di immedesimarci in lui.

TITOLO ORIGINALE: Baby Reindeer

DURATA MEDIA DEGLI EPISODI:  32 minuti

NUMERO DEGLI EPISODI:  7

DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix

GENERE: Drama  Comedy Biography

CONSIGLIATO: a quanti hanno voglia di seguire una serie impegnativa, non solo per i temi trattati, ma anche per scelte narrative, con ripetuti movimenti avanti e indietro nel tempo. Una visione spiazzante che muoverà qualcosa in voi, ma che può non essere adatta a tutti.

SCONSIGLIATO: a quanti non sono nel momento giusto per assistere ad una serie emotivamente forte.

VISIONI PARALLELE: credo che a molti sia venuta in mente una celebre stalker cinematografica, cioè Annie di Misery non deve morire (1990). Nel film di Bob Reiner, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, la protagonista salva un famoso scrittore dopo un incidente, lo cura, ma finisce per decidere di tenerlo prigioniero quando scopre che Misery, il suo personaggio preferito, sta per morire. Anche in questo caso una grande interpretazione, quella di Kathy Bates nei panni di Annie, sorregge la sceneggiatura.

Un altro film entrato nell’immaginario collettivo è Attrazione fatale, con Michael Douglas e Glenn Close. Anche in questo caso l’interpretazione di Glenn Close è magistrale nel dar corpo ad un personaggio entrato nella classifica delle donne più cattive della storia del cinema. La vita del procuratore legale Dan Gallagher (Michael Douglas) si trasforma in un vero e proprio incubo dopo una notte passata con una donna, Alex Forrest, che non vuole accettare l’episodicità del loro rapporto e inizia a molestare lui e la sua famiglia.

UN’IMMAGINE: la locandina della serie, in cui Martha imprigiona Donny in un bicchiere trasparente. Lei giganteggia su di lui, piccolo e chiuso in una prigione da cui non sembra potersi liberare da solo. La necessità di farsi aiutare in situazioni di questo tipo è l’elemento fondamentale per riuscire a superarle: la chiusura in sé stessi, la vergogna o la paura finiscono solo per rendere la situazione ancora più drammatica.

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