Il secondo film di Piero Messina – dopo il debutto con L’attesa, ospitato in concorso a Venezia nel 2015 e interpretato da Juliette Binoche – ci riporta esattamente ai temi del suo esordio, tra perdite traumatiche, elaborazioni dolorosa del proprio lutto e tentativi di sopravvivere all’assenza.
Abbandoniamo però il sole caldo della Sicilia, per immergerci in una metropoli tetra e impersonale, ripresa quasi sempre in interni, spostandoci in un futuro prossimo venturo, in cui la compagnia Aeterna promette di impiantare temporaneamente i ricordi delle persone defunte nei corpi di donatori compatibili, per consentire un distacco meno traumatico e consentire ai clienti della società di venire a patti col proprio dolore.
A seconda della compatibilità le sessioni possono essere più o meno lunghe, ma si tratta comunque di un pugno di nuovi incontri, al termine dei quali il lutto rimane e i locatori ritornano disponibili per nuovi innesti di memoria.
Siamo dalle parti di quella fantascienza del dolore e dei sentimenti di Kaufman, Jonze e Gondry o del Lanthimos di Alps.
Qui il protagonista è Sal, affranto per aver perduto la giovane compagna Zoe in un incidente d’auto, di cui si sente responsabile. La sorella Ebe lavora in Aeterna con un ruolo di particolare rilevanza e dopo averlo salvato da un tentativo di suicidio, lo spinge a tentare la strada di un locatore per Zoe.
Ma chi è la donna che si presenta a casa di Sal e sembra comportarsi esattamente come la sua amante perduta?
L’ossessione rimane anche dopo che il nuovo tempo tra i due è inesorabilmente passato.
Un incontro causale in un club chiamato Atlantis che è quello dove Sal e Zoe erano diretti la notte dell’incidente, porterà il protagonista a cercare una strada diversa per lenire il suo dolore.
Il film di Piero Messina è avvolto nella luce neutra e nei colori muti di una serie di interni in cui è il grigio a prevalere. Questo sembra rappresentare visivamente non solo il colore dell’animo combattuto del protagonista, ma anche l’ambiguità morale e psicologica dell’esperimento di Aeterna.
In realtà Sal non sembra capace di abbandonare Zoe, ma la sua ossessione si trasferisce sulla donna nella cui coscienza vivono i ricordi della sua amata.
Un corpo non è solo un corpo, come dice Ebe per convincerlo a provare. E’ vero esattamente il contrario.
La gioia del programma Aeterna è effimera, transitoria, fondamentalmente inutile, se non decisamente controproducente, ma quella che Sal prova per Ava, la locatrice che si è prestata a incarnare la memoria di Zoe è invece reale, diversa, nuova. Ed è attraverso quella che Sal riesce davvero a mettere la sordina ai suoi pensieri più oscuri.
Peccato che Messina con i suoi tre co-sceneggiatori Valentina Gaddi, Sebastiano Melloni e Giacomo Bendotti non riesca a chiudere senza ingarbugliare tutto e rimettere in discussione il patto spettatoriale ribaltando punti di vista e infilando una teoria di inutili finali, uno più pasticciato dell’altro, quando il suo film sembrava aver trovato nella dimensione più esplicitamente umanistica il suo baricentro morale.
Peccato, perché al netto di una vetusta cifra autoriale, che pure ammorbava L’attesa, Another End è un melò dai toni autunnali, che trova nell’interpretazione dei suoi attori una sponda formidabile.
In particolare la norvegese Renate Reinsve, già formidabile ne La persona peggiore del mondo, qui illumina tutte le scene in cui appare con una fisicità travolgente che giustamente si sposa male con quella di Garcia Bernal e che viene contraddetta dalla dolcezza del suo volto, in un cortocircuito che restituisce perfettamente le ambiguità del suo personaggio.
Messina poi ci lascia anche una riflessione non banale sul cinema e sui ricordi, sulla loro dimensione visiva, con i locatori nel ruolo esplicito degli interpreti, in cui il ruolo spesso confonde arte e vita, coscienza personale e mestiere.
In concorso alla Berlinale.

