Hokage – Ombra di fuoco

Hokage – Ombra di fuoco ***1/2

La guerra è finita, ma continua a seminare morte e dolore nel cuore degli uomini.

Il nuovo film di Tsukamoto è un altro straordinario apologo antimilitarista, che chiude un’ideale trilogia con Nobi – Fires on the plain e Zan, questa volta animato da una semplicità di messa in scena, che lo rende ancora più duro e necessario.

In una piccola città distrutta dalle bombe, la giovane Shuri, che ha perso il marito e il figlio, è costretta a sopravvivere prostituendosi nel ristorante che gestiva, ormai vuoto. I vetri alle finestre sono stati anneriti dalle esplosioni. All’interno non c’è rimasto molto, fuori solo le macerie.

Un soldato si presenta alla sua porta e passa la notte con lei. Un bambino dispettoso appare e scompare portando frutta e verdura, probabilmente rubate al mercato, che lei accetta di cucinare amorevolmente.

I tre sembrano riformare per qualche giorno una famiglia impossibile, ma il soldato, che prima di arruolarsi faceva l’insegnante, è ancora gravemente traumatizzato e finisce per aggredire Shuri. E’ il bambino a salvarla, con la pistola che ha trovato e che custodisce nella borsa da cui non si separa mai.

Quella pistola però finisce per allontanarlo anche da Shuri, quando la donna gli impone di lasciarla nel ristorante.

Il bambino l’ha invece promessa ad un altro soldato, che la userà per punire il suo capitano, responsabile di una serie di atrocità verso il nemico e verso il suo stesso battaglione.

Tsukamoto costruisce una tragedia in tre atti, essenziale, di stampo quasi teatrale, ma di grande efficacia narrativa.

L’ombra della guerra si allunga sui superstiti, sconvolgendo l’esistenza di tutti, trasformando le persone e facendo emergere in modo ossessivo la violenza e l’orrore, che ciascuno tiene serbato nel proprio animo.

Hokage è un film di incubi, di immagini che tornano e che possiamo solo immaginare, di vendette impossibili.

Shuri accetta di subire la violenza degli uomini, in quel clamoroso primo atto che è costruito come un horror tutto confinato nelle pareti del ristorante, ma non vuole che il bambino se ne faccia strumento.

Quando poi, nel secondo atto, abbandoniamo la donna e seguiamo il piccolo protagonista entriamo in contatto con un mondo che non è meno devastato, non solo materialmente, ma moralmente.

L’orrore alberga nel cuore degli uomini, la violenza agita e subita è ancora parte integrale della loro vita, una ferita aperta che continua a sanguinare e a cui il bambino non è estraneo se nella notte soffre disperato incubi di cui non sapremo mai la causa.

Tsukamoto ha raccontato spesso l’alienazione degli uomini, preda di pulsioni laceranti che esplodono in modo dirompente. Il suo cinema futurista si è fatto più riflessivo col tempo, la dimensione metafisica ha acquistato uno spazio inconsueto per un regista che ha sempre raccontato il corpo. Anche la violenza ha assunto connotati più sfumati, psicologici.

Hokage è il punto di arrivo provvisorio di questo percorso.

In un film piccolo, due immagini enormi: le macerie della città devastata osservate dall’alto, in un bianco e nero che irrompe improvvisamente a colorare di cenere quello resta, e il vicolo buio dove i corpi dei reduci, uno sull’altro, giacciono in preda ai loro fantasmi.

E poi il finale, in cui il bambino ancora una volta da solo, deve ricominciare da capo. Lo vediamo confondersi nella folla che si accalca al mercato, lo perdiamo di vista infine, nella speranza che smetta di essere il protagonista di questa storia e cominci a viverne una nuova.

Formidabile.

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