Black Mirror 6: una stagione non all’altezza della storia della serie di Charlie Brooker

Black Mirror 6 **

La sesta stagione di Black Mirror, miniserie antologica che analizza le paure e le ansie della società ipertecnologica in cui viviamo, è composta da cinque episodi. Nel primo, Joan is Awful, assistiamo alla sorpresa di una donna in carriera nello scoprire che un’importante piattaforma streaming (chiaro riferimento a Netflix stessa) ha rilasciato uno show sulla sua vita, che racconta gli avvenimenti che le accadono quotidianamente. E’ il frutto dell’opera di una potente IA che, attraverso le informazioni estrapolate dagli utenti, appare in grado di rappresentarne la vita in modo dettagliato. Peccato però che nella serie TV Joan appaia una persona peggiore di quello che è nella realtà, mettendo così in crisi il suo lavoro, la relazione con il compagno, la percezione che la donna ha di sé stessa. Il secondo episodio, Loch Henry, ha i colori e le atmosfere della Scozia rurale, romantica e gotica, dove una coppia di giovani studenti di discipline cinematografiche, Davis e Pia, intende realizzare un documentario naturalistico che si trasforma in un true crime e porta alla luce verità insospettabili sulla piccola comunità locale e sulla famiglia di Davis. Beyond the Sea ha il sapore della distopia nel rappresentare gli anni ’60 del secolo scorso. Cliff e David, due astronauti i cui corpi sono addormentati nello spazio, possono interagire con la propria famiglia tramite degli avatar. La situazione si complica quando quello di David viene fatto a pezzi e la sua famiglia sterminata. Cliff allora gli mette a disposizione il suo avatar, per superare la drammatica solitudine dello spazio, ma ben presto David inizia ad interessarsi alla moglie del collega. Il terzo episodio, Mazey Day, racconta la storia di un’attrice che, in una notte piovosa e buia investe con l’auto un uomo. Non solo Mazey non riesce a salvarlo, ma finisce per essere contagiata da una strana malattia che la trasforma in un licantropo. Alcuni paparazzi sulle sue tracce, ignorando la vera ragione della sua misteriosa scomparsa dal set, finiscono per mettersi nei guai. Infine il quinto episodio, Demon 79 è la storia, ambientata in Inghilterra sul finire degli anni ’70, dell’incontro tra una giovane commessa indiana e un demone che le chiede di compiere tre sacrifici umani per evitare l’imminente apocalisse nucleare.

Nel complesso la sensazione è di trovarsi di fronte a una serie che ha già espresso il meglio e che si trascina, indolente e con rari lampi del genio passato, verso il pensionamento. Se infatti alcuni episodi riescono ancora a presentare un’analisi sociologica delle paure che nascono dalla nostra dipendenza tecnologica, altri invece finiscono per apparire poco significativi, dal punto di vista dei contenuti più ancora che da quello estetico, come Mazey Day. In realtà già nella quinta i segnali dell’esaurimento della vena creativa erano evidenti, per giungere al risultato, ampiamente sotto le aspettative, di questa nuova stagione.

Nonostante questa premessa, gli spunti non mancano.

Uno dei migliori episodi, Joan is Awful, ci presenta una meta-analisi della serialità televisiva, con elementi di autoironia che rimandano alla stessa Netflix. Come negli episodi più riusciti del passato, una realtà che inizialmente sembra molto lontana dal potersi realizzare, con il proseguire della visione appare tutt’altro che improbabile. A pochi passi dal nostro presente. Quello che manca rispetto al passato è invece il ritmo, tutt’altro che incalzante. Nell’episodio si mostrano senza mezzi termini i rischi legati alla perdita del controllo sui propri dati personali e l’importanza di una regolamentazione della privacy che tuteli l’integrità della persona contro possibili distorsioni commerciali, più o meno volute. I temi collaterali però sono forse ancora più interessanti per chi scrive di TV: le dipendenze che abbiamo costruito verso la serialità, la ricerca di un eroe negativo o anti-eroe, l’insofferenza ad ogni vincolo morale, la personalizzazione algoritmica dei contenuti, ma anche e soprattutto la sudditanza che sia gli attori che il pubblico hanno nei confronti delle case produttive. E’ evidente il richiamo agli autori, agli screenwriters, il cui senso di sfruttamento e impotenza è lo stesso di Joan e della sua attrice nella serie TV, cioè Salma Hayek (che interpreta se stessa). Un senso di sfruttamento che ha portato al gesto estremo, per il contesto produttivo americano, di uno sciopero di categoria. L’agitazione degli sceneggiatori intende rivendicare soprattutto diritti economici, che però quasi impallidiscono quando si alza il tiro, come avviene con Joan is Awful, sollevando questioni legate all’identità e alla natura stessa del processo artistico. Uno dei temi sul piatto nei prossimi anni sarà proprio come e quanto le Intelligenze Artificiali potranno applicarsi al processo artistico e con che conseguenze, anche per l’occupazione.

Sul confine sottile tra umano e trans-umano si pone anche Beyond the Sea. Il taglio del racconto appare cinematografico, per l’ampia durata, la presenza di attori affermati (Josh Hartnett, Aaron Paul e Kate Mara) e l’utilizzo di costosi effetti speciali. Come detto è il racconto di un passato distopico in cui due astronauti si trovano a dover gestire le ripercussioni di un atto violento e vile: una gang antitecnologica ha infatti distrutto il clone di uno dei due e sterminato la sua famiglia. La storia in realtà utilizza la tecnologia, i cloni e lo spazio soprattutto come uno strumento per trattare di un sentimento antichissimo e cioè la gelosia che si impossessa dell’astronauta Cliff (un ottimo Aaron Paul) quando si accorge delle attenzioni del collega David (Josh Hartnett), la cui famiglia è stata sterminata, per sua moglie. La particolarità è che le attenzioni alla donna vengono espresse tramite il corpo di Cliff che David utilizza per tornare sulla terra, non avendo più un proprio avatar su cui “appoggiarsi”. E’ una puntata cupa, con passaggi repentini dalla violenza della gelosia alla tranquillità della vita familiare, dalle bucoliche relazioni umane in una cittadina della provincia americana, al vuoto materiale ed emotivo dello spazio. Emerge così con forza il senso di impotenza che esplode nel tragico finale e che sigilla l’impossibilità di agire dei due protagonisti. Resta anche un sottile senso di inquietudine, come nei migliori episodi della serie, per qualcosa che va contro la natura umana. I cloni peraltro finiscono per condurre una vita deprivata sulla terra, senza poter esprimere appieno le potenzialità, anche vitali, del corpo umano.

Loch Henry e Mazey Day sono uno complementare all’altro, per debolezze e punti di forza: là dove Loch Henry arranca per arrivare ad un’impennata finale, Mazey Day al contrario si muove su binari solidi fino a deragliare in un finale piuttosto surreale e frettoloso. Il quinto episodio, Demon 79 rimanda invece all’umorismo nero delle prime stagioni, ma non riesce ad amalgamare i toni e i contenuti con l’identità tecnologica della serie. Il racconto, che alla fine appare concluso in un arco narrativo efficace e di buon ritmo, resta lontano per temi e ambientazione dal taglio distintivo di Black Mirror: potrebbe essere un episodio autoconcluso di una qualsiasi altra serie TV.

In una panoramica complessiva spaziamo quindi dai momenti da commedia leggera/trash del primo episodio, all’umorismo nero dell’ultimo, passando per crime, thriller d’azione ed horror soprannaturale: generi diversi che, in mancanza di un collante identitario, finiscono per apparire disarmonici. Ammesso che l’armonia interessi a Charlie Brooker, in una serie che spesso ha fatto della cacofonia il suo segno distintivo; al termine della visione abbiamo però avuto la sensazione di essere non solo di fronte ad un prodotto dis-armonico, cosa accettabile appunto, ma soprattutto insapore. La scrittura non amalgama i generi e i toni tramite una precisa visione del mondo, come accadeva nelle precedenti stagioni della serie.

Nel complesso la sesta stagione di Black Mirror non resterà nella memoria dei fan, ma, anche se in tono minore, riesce comunque a far correre qualche brivido lungo la schiena degli spettatori, lasciandogli qualche salutare dubbio sul futuro della nostra dipendenza tecnologica.

TITOLO ORIGINALE: Black Mirror – 6
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 60 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 5
DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix
GENERE: Drama Mistery Sci-Fi Horror Dark Comedy

CONSIGLIATO: a quanti amano guardarsi allo specchio e ragionare sui temi della spettatorialità: il primo episodio, Joan is Awful fornisce parecchi spunti a riguardo.

SCONSIGLIATO: ai fan di Black Mirror che già erano rimasti delusi dalla quinta stagione: purtroppo non c’è stato alcun colpo di reni e la produzione continua il suo triste declino.

VISIONI PARALLELE: l’altra grande epopea sul futuro e sul rapporto con la tecnologia degli ultimi anni è stata indubbiamente Westworld (2016-2022), sul crinale tra sci-fi e western, serie ricchissima di spunti di riflessione tra etica e libertà.

UN’IMMAGINE: questa volta l’immagine potete sceglierla direttamente voi. Infatti Netflix ha creato un sito, Streamberry.tv da cui è possibile realizzare una locandina dell’episodio Joan is Awful con la propria immagine invece che con quella di Joan. La funzione si chiama You are Awful ed è diventata virale nelle settimane immediatamente successive al lancio della serie. Però, proprio come avviene nell’episodio, è importante leggere bene le condizioni di utilizzo della propria immagine!

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