Diamanti grezzi. Recensione in anteprima!

Diamanti grezzi – Uncut Gems ***

Il nuovo film dei fratelli Safdie è ambientato nel piccolo mondo dei gioiellieri ebrei newyorkesi, assai meno compassati e formali di come saremmo abituati a immaginarli.

Il nostro antieroe si chiama Howard Ratner, moglie e figli nei sobborghi, in una grande casa con piscina, l’amante – Julia, una delle sue impiegate – in un appartamento in città: una doppia vita molto movimentata, la sua.

Ma il vero problema non è familiare: sono le scommesse, soprattutto quelle sportive. Lo vediamo pedinato dagli scagnozzi del boss Arno, a cui deve dei soldi. Poi da altri strozzini e allibratori.

Dà in pegno gli orologi e i gioielli, che i clienti lasciano nella sua cassaforte. Arriva persino ad impegnarsi l’anello di campione NBA di Kevin Garnett, pur di recuperare denaro fresco da piazzare su qualche partita.

I Safdie ci costringono ad un’immersione nel piccolo mondo chiuso di Howard, fatto di cucine di ristoranti, banchi dei pegni, camere blindate, clienti facoltosi, nightclub, hip hop e cultura black.

Un’immersione vera a propria, che comincia con le immagini à rebours di una colonscopia e che finisce con un altro viaggio nel corpo del protagonista.

Quasi a dirci quanto viscerale sia il coinvolgimento con il personaggio.

Nel frattempo scopriamo che il rapporto con la moglie si è deteriorato, quello con i figli è ancora più freddo e persino con la giovane Julia le cose finiscono per precipitare: non si capisce se la passione compulsiva per il gioco e la menzogna siano le sue uniche speranze, per sistemare la sua vita disastrata, o se rappresentino invece l’origine di tutti i suoi guai.

Guardando una sera un documentario sull’Etiopia, Howard capisce che lì si può fare un affare colossale, comprando al mercato nero un opale grezzo, da rivendere all’asta a New York.

Solo che Kevin Garnett, il giocatore dei Boston Celtics, se ne innamora e lo vuole a tutti i costi, mettendolo nei guai con Arno e con i suoi uomini.

Afflitto dalle musiche elettroniche di Oneohtrix Point Never, così come il precedente Good Time, il film dei Safdie è subito sgradevole, respingente, confusionario, ossessivo.

Adam Sandler, per una volta in un ruolo vero, incarna perfettamente l’antieroe protagonista, con il suo pizzetto, i dentoni, gli occhiali demodé, gli orologi pacchiani e l’enorme anello dell’ultimo titolo dei Knicks al dito.

Sgraziato, malvestito, sempre con l’acqua alla gola, dovendo fingere invece una coolness che tranquillizzi creditori e clienti, Howard sembra uscito da un vecchio film della New Hollywood. E’ un loser senza grandi qualità, indisponente, ma è anche un uomo generoso, simpatico, incosciente.

I Safdie gli stanno addosso, negli spazi chiusi in cui è ambientato il loro film, aumentando il senso di ansia angosciante, che sembra accompagnare le sue imprese.

Minacciato, denudato, pestato, buttato vestito in una fontana, Howard è il punchin’ ball perfetto. Deve soldi a tutti, continua a farsi prestare denaro, per scommesse con cui spera di risolvere i suoi problemi, ma tutto sembra andare per il verso sbagliato.

Persino l’asta dell’opale si risolve in un disastro. La sua è una continua rincorsa alla vita: sempre un passo indietro, sempre in affanno.

Attorno a lui i Safdie costruiscono un microcosmo eterogeneo, che comprende il milieu ebraico in cui è cresciuto, i nuovi ricchi afroamericani e il sottobosco criminale, a cui è costretto a rivolgersi.

Tra i numi tutelari di Cassavetes di Abel Ferrara e dello Scorsese degli anni ’80, qui anche produttore, i Safdie cercano la propria strada, in modo certamente originale.

Questa volta è il maestro Darius Khondji a firmare la difficile fotografia elettrica, tra brutte luci, led dei locali e rari esterni, quasi rubati, in modo documentaristico.

Pur essendo una sorta di one man show, costruito su misura per Adam Sandler, Uncut Gems regala, anche nei ruoli più piccoli, lampi di bellezza. Julia Fox, modella e fotografa, è una rivelazione assoluta e il suo ruolo diventa sempre più centrale nell’ultima parte del film.

Altrettanto indovinato il coinvolgimento di Kevin Garnett, che sembra un attore consumato, pur nella sua ingenuità di sportivo milionario. Interessante anche il ruolo di Eric Bogosian, il boss Arno a cui Howard deve una somma mai quantificata, che poi si rivela essere il marito wasp della sorella, considerato la pecora nera della famiglia, guidata dall’anziano Judd Hirsch.

Più in ombra invece rimane Lakeith Stanfield, nel ruolo di uno di quegli intermediari, che approfittano della ricchezza e della stupidità dei parvenu, siano essi sportivi o musicisti.

Se riuscite a superare la lancinante colonna sonora – che ammorba le nevrosi di Howard per tutto il film e chiude con L’Amour Toujours del nostro Gigi D’Agostino – e ad entrare nel suo incubo, scoprirete un film leggero e dolente al tempo stesso, di grande originalità: la commedia di un uomo ridicolo, che si gioca la vita ogni sera, per l’ebrezza di una vittoria improbabile e disperata.

In Italia dovrebbe arrivare direttamente su Netflix, dal 31 gennaio.

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