Dove la terra trema – Earthquake Bird

Dove la terra trema – Earthquake Bird *

Prodotto da Ridley Scott per Netflix, Dove la terra trema è l’adattamento del primo omonimo romanzo di Susanna Jones, uscito in Italia per Mondadori nel 2001.

La Jones cresciuta nello Yorkshire era un’insegnante di scrittura, appassionata del Teatro del No e della cultura giapponese, tanto da vivere per alcuni anni nel paese del sol levante.

A portare sullo schermo il suo lavoro è Wash Westmoreland, il regista inglese trasferitosi negli States nei primi anni ’90, per inseguire il sogno di lavorare nel mondo del cinema: dopo aver fatto da assistente a Bruce LaBruce, si costruisce un nome nel cinema porno, prima di trovare il successo indie assieme al compagno Richard Glatzer, con Non è peccato – La Quinceanera, vincitore al Sundance, e poi con Still Alice e Colette.

Westmoreland condivide con la Jones la passione per il Giappone: si è laureato infatti a Fukuoka, in letteratura giapponese nel 1990.

Tutto questo però se ci può servire, forse, per dare un contesto all’adattamento di Earthquake Bird, non ci aiuta a trovare il senso di un film di disarmante bruttezza, che rivaleggia con le peggiori soap di Teodosio Losito.

E se non sapete chi è, non saremo certo noi farvelo scoprire.

Qui si racconta di una giovane svedese Lucy Fly, che lavora come traduttrice a Tokyo, nell’ormai lontano 1989.

Timida, minuta, con la frangetta, la coda e vestiti punitivi, che la fanno assomigliare ad una suora laica, sembra nascondere un ‘fosco secreto’, che la rende continuamente pensierosa, diffidente, paranoica.

Quando conosce – letteralmente per strada – un fotografo dilettante, Teiji, che lavora come cuoco in un noodles shop, tra i due scoppia una passione bruciante che prima è esclusivamente scopica, con lui che la fotografa i continuazione e senza alcun motivo, quindi poi decisamente più fisica.

Solo che la felicità dura un istante e tra i due si inserisce un’americana, Lily Bridges, che sembra una sosia di Cindy Lauper: rossetto color rosso fuoco, capelli biondi lunghi e ricci, esuberante e priva di alcuna preoccupazione nella vita.

Ovviamente Teiji comincia a fotografare anche Lily e poi, quasi senza un perchè, la situazione precipita.

Il film è tutto rinchiuso dalla cornice di un lungo flashback che comincia all’interno di un commissariato, quando Lucy viene interrogata per la scomparsa di Lily.

Vi risparmiamo tutta una serie di digressioni, che rendono il racconto di Westmoreland talmente implausibile, da impantanarsi più volte nel ridicolo involontario, compreso il fatto che Lucy traduca proprio un pezzo di Black Rain di Ridley Scott, produttore del film.

O che si veda ogni tanto con una donna magistrato, a cui racconta delle cose.

Vi basti solo sapere che in una delle prime scene, proprio a casa del giudice, una donna cade sulle scale, proprio davanti a Lucy e muore, spezzandosi il collo, per l’unico motivo, forse, di aggravare lo stato ansioso della protagonista e consentirle una battuta come “la morte mi insegue da vicino”.

Cose che neppure in un romanzo Harmony o, per l’appunto ne L’onore e il rispetto.

La Vikander nel ruolo di Lucy è così sciagurata, che verrebbe voglia di fargli restituire il Premio Oscar, prematuramente vinto nel 2015, a cui sono seguite cose come La luce sugli oceani, La ragazza dei tulipani, Submergence, Tomb Rider. 

Il suo ruolo è un’infilata di cliché da romanzetto di quart’ordine, mal servito da una sceneggiatura ignobile e puerile, che lei interpreta con una sola depressa espressione, ad occhi bassi, per tutti i 108 minuti di questo supplizio.

Persino Riley Keough, una delle migliori giovani attrici americane, qui sembra davvero la cameriera che dovrebbe interpretare, passata per sbaglio sul set e coinvolta nelle riprese.

In due non fanno un mignolo della Glenn Close di Attrazione fatale o della Sharon Stone di Basic Instinct.

Non va meglio con il protagonista maschile, il modello giapponese Naoki Kobayashi, che non si capisce mai perchè faccia quello che fa. E alla fine non si comprende neppure bene cosa abbia fatto.

In un film che dovrebbe mettere in scena un triangolo di passioni, tra Eros e Thanatos, manca del tutto qualsiasi erotismo, qualsiasi sensualità. Tutto è asettico, glaciale e insapore.

Non c’è davvero nessuna scossa tellurica in un racconto che invece ne è pieno, per giustificare il poetico titolo originale, che è l’unico elemento di pregio di un film tra i peggiori della stagione, per distacco.

Un film che conferma Netflix, come una sorta di purgatorio, non solo per i suoi utenti, costretti quasi sempre a fare penitenza, con lavori cinematografici di mediocrità imbarazzante, ma anche per registi e progetti che non avrebbero mai dovuto arrivare in produzione e che è ormai troppo tardi per chiudere in uno scantinato.

Una volta c’era l’onta dello straight to video, che puniva i progetti venuti tanto male, da non meritare l’uscita in sala: Netflix dovrebbe stare attentata a non diventare oggi una sorta di straight to streaming. 

Anche perchè la concorrenza ora se la gioca anche in quel campo e di Scorsese e Cuaron ce n’è uno all’anno. Il resto purtroppo è per lo più imbarazzante.

Con Dove la terra trema abbiamo tuttavia toccato, veramente, il fondo.

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