
“Seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino”: una volta era la strada per l’Isola Che Non C’è. Adesso la dicitura è rimasta, ma i tempi cambiano e anche le necessità di mercato. Ai bambini non bastano più le favole e per far cassa servono trovate artistiche di dubbio gusto e colore. Così Peter Pan si trasforma in una favola steampunk, con suore che issano bandiere pirata e battaglie aeree tra vascelli volanti e Alleati. Paura e delirio sull’Isola Che Non C’è.
Joe Wright ha snaturato una storia senza tempo, per trasformarla in un delirante prequel che difficilmente sarà ricordato. Non è una colpa rimaneggiare una storia, ma quando se ne perde il messaggio principale qualcosa è andato storto, almeno nella fase di riscrittura. Peter Pan è il simbolo della libertà intellettuale, della voglia di rimanere sempre giovani in un mondo che pretende la maturazione. È il richiamo alla giovinezza, al vivere senza pensieri e alla voglia di mettersi in gioco. Pan è solo una nuvola di fumo che ha perso i suoi valori originali, dando spazio allo spettacolo e ad una sceneggiatura priva di qualsiasi personalità.
Eppure Joe Wright non aveva quasi mai deluso, fino ad ora. Con Espiazione il regista londinese ha accarezzato l’oscar e per Anna Karenina la critica non ha lesinato complimenti. Purtroppo “non tutte le ciambelle vengono col buco”, specialmente quando i pirati omaggiano i Nirvana coi canti di lavoro. I minatori li accolgono a tempo di rock, mentre una volta chi lavorava nei campi ha inventato il jazz. Cambiano i tempi ma, non il buongusto.
I personaggi sono superficiali e senza spessore, con Hugh “Barbanera” Jackman che si candida ad essere il peggiore del gruppo. Le personalità non vengono mai sviscerate e anche quando l’occasione lo permetterebbe, si preferisce virare sull’azione e sul non senso. I bambini ricordano la recitazione de L’ultimo dominatore dell’aria e il villain è tanto truccato quanto strambo. Si agita sulla scena senza trovare il proprio posto, rivelandosi un bonaccione poco magnetico per il pubblico. Non affonda quando dovrebbe e si dà per vinto troppo facilmente, come il suo film.
Pan non riesce a decollare e si limita a prendere, dove può, da altri grandi franchise di successo, primo fra tutti Pirati dei Caraibi. Però non mancano le ambientazioni orientaleggianti e gli allarmi antiaerei della Seconda Guerra Mondiale, in un tripudio di colori e trovate alla Mad Max. Insomma riesce ad essere tutto tranne che se stesso. A tratti potrebbe anche essere definito visionario, ma senza un minimo di ratio si riduce tutto a una corsa a perdifiato di quasi due ore, in cui lo spettatore si perde tra citazioni e sgomento.
La storia non è più quella di una volta e ha perso la poesia dei suoi sequel. Alla mente ritorna l’Hook di Steven Spielberg, con un cast d’eccezione e un John Williams indimenticabile all’orchestra. Erano i bei tempi della poesia e delle emozioni, dove sognare era d’obbligo e la commozione era più di un fugace momento. Adesso Peter Pan è un sovversivo mai stanco, che corre più di Tom Cruise in Mission Impossible e sfida Jack Sparrow nei momenti di cappa e spada. Chiamatelo pure progresso, ma era molto più simpatico quel ragazzino che un tempo amava Wendy.

