Banat – Il viaggio *
Dopo il successo dei suoi cortometraggi, il primo film di Adriano Valerio è un pasticcio di rara bruttezza, mal scritto, girato in maniera scolastica e interpretato da un insopportabile Edoardo Gabriellini, che non sembra essere mai uscito da Ovosodo.
Un agronomo di Bari trova lavoro a Banat in Romania: dopo aver rimandato una volta il viaggio, finalmente si decide a lasciare la casa italiana. La nuova inquilina arriva proprio mentre lui sta ancora terminando di impacchettare le sue cose.
Lei costruisce barche ed è incinta. Ha appena abbandonato il padre del bimbo che porta in grembo.
Tra i due naturalmente scatta subito una scintilla. Prima che lui parta l’indomani, lei riesce anche a perdere il cane della padrona di casa, prolungando così la forzata coabitazione.
In Romania lui trova nebbia e desolazione che neppure in val padana nel 1945. Lei a Bari perde il lavoro e si decide a raggiungerlo.
Tra un incendio doloso ed uno squallido casolare privo di tutto, i due si innamorano e cercano un modo per stare assieme…
Privo di uno sguardo cinematografico e di un qualsiasi interesse anche solo sociologico, per non dire politico, capace di suggerire una qualche riflessione sull’Italia di oggi, sull’emigrazione al contrario, sul valore del lavoro e della vita dei campi, il solo elemento positivo di Banat è l’interpretazione di Elena Radonicich: è l’unica che non sembri capitata per caso sul set e la sola che riesca a recitare i dialoghi del film, donando al suo personaggio una qualche credibilità drammatica.
Se il film non naufraga completamente è solo grazie alla sua generosità ed al suo sguardo malinconico.
Purtroppo Banat sembra troppo simile a tanti esordi italiani, caratterizzati da un racconto privo di alcun valore, da personaggi e scrittura superficiali e approssimativi, da uno sguardo minimalista in senso deteriore.
Da dimenticare.


