The Duke of Burgundy ***
The Duke of Burgundy (nome di una farfalla rara) si fa scoprire grazie alla sua partecipazione in concorso al 32° Torino Film Festival, dove una delle due eccellenti protagoniste, la danese Sidse Babett Knudsen, ha attirato l’attenzione della critica che l’ha premiata come miglior attrice per la sua interpretazione nel ruolo di Cynthia. Basta poco per rendersi conto di essere di fronte a un piccolo grande film fiabesco, ambientato in una cittadina europea e in un tempo sconosciuti, scritto e diretto con delicata umiltà dall’inglese Peter Strickland.
Evelyn (l’italiana Chiara D’Anna) è una domestica trentenne, timida all’apparenza e molto rispettosa nei confronti della padrona Cynthia, un’austera donna di mezz’età che si occupa di etnomologia e che, fin da subito, sembra voler sottomettere la più giovane, punendola in modi poco ortodossi. Tra le due nasce una relazione sentimentale profondamente intima ma perversa e morbosa, basata in principio sull’accondiscendenza dell’una agli ordini dell’altra, ma continuamente in balia del ribaltamento dei ruoli assegnati, in un gioco recitativo che non avrà fine.
In The Duke of Burgundy Strickland ha voluto rivisitare con personale originalità il genere erotico anni ’70, distanziandosi prima di tutto da facili cliché come il nudo, e descrivendo allo spettatore il suo punto di vista su un rapporto sadomasochista. E’ questo un pretesto per introdurre il tema centrale del film, e cioè i desideri incompatibili delle coppie a livello universale e le loro difficoltà di comunicazione. A questo scopo il regista ha creato un mondo tutto suo, popolato da sole donne: una realtà femminile surreale, lungi dall’intento di voler raccontare una storia d’amore gay.
In questo scenario l’aspetto più intrigante è rappresentato dalla sfera della recitazione, fuori dalla quale la bella Cynthia e la minuta Evelyn si muovono con timore e fatica, tornando a rifugiarvisi ogni qualvolta l’equilibrio tra di loro inizia a vacillare. Le due donne decidono di tacito accordo di assumere dei ruoli e rimetterli in scena ripetutamente, come fossero in teatro in fase di prova, nello spazio limitato di un’antica e affascinante casa ungherese. Sembra quasi che un incantesimo le colpisca entrambe, pilotando i loro movimenti alla pronuncia di una parola d’ordine.
Un rituale programmato e esasperato, fuori dal quale non c’è controllo, ma solo farfalle e falene che “colorano” le atmosfere autunnali del film senza un esplicito simbolismo, a sostegno di una forte connotazione cromatica di chiari e scuri, luci e ombre, (nella logica degli opposti che, neanche a farlo apposta, si attraggono). In contrasto con la ripetitività di azioni e battute, non è difficile accorgersi dell’evoluzione psicologica delle due protagoniste che non sono quelle che sembrano: il capovolgimento delle parti sarà a discapito di colei che, prima di entrare nel circolo vizioso di un’esasperata sfrenatezza sessuale, appariva come la più forte.
A rivestire un ruolo importantissimo sono quindi le dicotomie, prima fra tutte quella tra vittima e carnefice, ma anche apparenza e inganno, sogno e realtà, fino a dramma e humour, un acuto umorismo che permea dialoghi e situazioni rendendoli ancora più sui generis. La regia non lascia nulla al caso e assegna agli oggetti un valore simbolico: basti pensare alla parrucca che rappresenta l’immedesimazione nel ruolo e il nascondersi dietro ciò che non si è veramente.
Quest’ultimo esperimento di Peter Strickland, che è al suo terzo lungometraggio, è un prodotto di nicchia esteticamente molto curato e forse un po’ appesantito dal protrarsi della parte onirica, che però ha un’intelligente funzione destabilizzante ai fini della lettura del finale da parte del pubblico. La D’Anna (dopo una parte in Berberian Sound Studio, sempre di Strickland) è alla sua prima volta da protagonista. Similmente la Babett Knudsen, sebbene sia una delle migliori attrici danesi della sua generazione, è invece al suo primo lungometraggio recitato in lingua inglese. Due attrici magnetiche, precise, che si auto dirigono con stile, interagendo solamente con altri due personaggi secondari. Sebbene quella tra Evelyn e Cynthia sia una lotta al massacro, rimane comunque una tenera storia d’amore pervasa di attrazione, passione e sensualità, scandita da regole autoimposte, da cui nessuna delle due vorrebbe liberarsi.