Dalla Berlinale Paolo Mereghetti recensisce il nuovo attesissimo film di Wong Kar-wai, The Grandmaster, che ha aperto il festival.
Il film— in originale Yi dai zong shi— ruota intorno alla vita di Ip Man (interpretato da un sempre fascinoso Tony Leung), da molti ricordato come il maestro di Bruce Lee ma conosciuto dagli esperti come il massimo esponente della tecnica Wing Chun, capace di fondere l’insegnamento delle scuole del Nord con quelle del Sud della Cina. E in effetti il film più che una vera biografia è piuttosto il confronto tra i «grandi maestri» dell’una e dell’altra scuola, a cominciare da Gong Baosen e da sua figlia Gong Er (Zhang Ziyi) fuggiti al Sud dalla Manciuria invasa dai giapponesi
[…] Tutti personaggi realmente vissuti nel secolo scorso e costretti a fare i conti con la storia della Cina: prima l’invasione giapponese del 1931 e poi la guerra civile tra i nazionalisti di Chiang Kai-shek e i comunisti di Mao Zedond. Eppure questi avvenimenti, che pure influirono notevolmente sulle loro vite (chi collaborò con gli invasori, chi dovette rifugiarsi a Hong Kong come i «nazionalisti» Ip Man e Gong Er) scorrono sullo sfondo: a Wong interessa soprattutto la disciplina interiore che guida i maestri delle arti marziali, così che ogni combattimento —e ce ne sono di bellissimi—diventa prima di tutto una prova di armonia fisica, di controllo muscolare, di sapienza tattica. E naturalmente di rigore morale. Qualcuno forse rimpiangerà i passati melodrammi di Wong Kar Wai come In the mood of love (anche se ieri come oggi la pienezza umana—sentimentale o marziale fa poca differenza—si identifica con il suo totale autocontrollo) e magari parlerà di «cedimento» alle leggi del business…