Cannes 2024. Anora

Anora ***

Anora è l’ottavo film per l’americano Sean Baker, laureato alla Tisch e attivo nel cinema indie da oltre venticinque anni. Eppure prima del suo Tangerine, girato con un iPhone e piccolo caso al Sundance del 2015, il suo nome era ancora per lo più sconosciuto.

Dopo il successo di Un sogno chiamato Florida, presentato alla Quinzaine nel 2017, Red Rocket, prodotto dalla A24 ha debuttato in concorso a Cannes nel 2021.

Il ritorno sulla Croisette coincide con una  commedia notevolissima e vitale, ambientata nel milieu della comunità russa di New York, nel tentativo impossibile di conciliare la vetta della scala sociale con i suoi gradini più bassi.

Anora o meglio Ani è una sex worker, lavora come spogliarellista in un night, dove si fa apprezzare dai suoi clienti di tutte le età. Una sera arriva nel locale il giovane Vanya Zakharov, che parla un inglese stentato ma sembra deciso a dare fondo alla carta di credito del papà: il proprietario del locale chiede ad Ani, che ha lontane origini russe e parla un po’ della lingua imparata dalla nonna emigrata, di farlo divertire.

La serata prosegue nell’enorme magione di Vanya che è figlio di un oligarca che vive in Russia e ha lasciato il figlio a New York a studiare.

Tra bevute, droghe, sesso e musica, i due vanno immediatamente d’accordo e si rivedono il giorno successivo. Poi Vanya la paga per trascorrere con lui l’intera settimana, che finisce a Las Vegas, nella suite di un casinò e poi all’altare di una cappella aperta 24 ore al giorno, dove i due ragazzi si sposano.

Quando tuttavia a New York si sparge la voce, gli uomini che il padre di Vanya ha incaricato di proteggerlo, capita la catastrofe e in attesa dell’arrivo del magnate e della moglie, si mettono all’opera per far annullare il matrimonio.

Il più esperto Toros e la coppia tragicomica formata da Garnik e Igor si fiondano a casa di Vanya, ma il ragazzo scappa e così tocca a Ani accompagnarli in una ricerca disperata tra Long Island e club notturni, per ritrovare lo scapestrato erede, prima che il potente Mr. Zarkhov atterri con il suo aereo privato a New York.

Il film comincia come una versione realistica e impressionista di Pretty Woman, con la giovane spogliarellista di cui il ricchissimo russo si innamora sull’onda di un entusiasmo alimentato da un mood festaiolo da party people 24/7.

Poi la realtà viene a chiedere conto delle follie commesse dai due, ma il film non cambia tono, restando una commedia picaresca, sgangherata e divertente, al cui centro c’è la lunghissima scena dell’arrivo di Garnik e Igor a casa di Vanya, mentre Toros è al telefono con loro, impegnato a far da padrino a un battesimo: in un crescendo di violenza parossistica, scontri verbali, fughe, ritorni e incomprensioni, il regista costruisce un piccolo gioiello slapstick, che sembra rubato al Chris Columbus di Mamma ho perso l’aereo almeno quanto al cinema di Chuck Jones.

Sean Baker non racconta nulla di nuovo e lo fa usando tempi di solito poco compatibili con la velocità della commedia: in due ore e mezza tuttavia il suo film gioca bene con i suoi tre atti, costruendo una perfetta introduzione, creando il conflitto, poi portando a spasso i suoi eroi, fino allo scioglimento finale, che tuttavia viaggia in parallelo all’inizio di una nuova storia d’amore, lontana dagli eccessi della prima.

Baker si è occupato come sempre di regia, scrittura, produzione e montaggio, one man band come si confà a chi ha sempre avuto un autentico spirito indipendente, budget minimi e un controllo assoluto sul proprio lavoro. 

Come nei suoi film precedenti, almeno i tre che hanno avuto un’eco anche nel nostro Paese e nei festival maggiori, i suoi personaggi sono lavoratori del sesso, vivono ai margini, abitano non-luoghi di periferia, eppure hanno l’occasione di guardare il sogno americano, anche solo per un attimo e immaginare di farne parte.

E’ un illusione, bruciante, destinata a finire male. D’altronde l’happy ending esiste solo nei film con Julia Roberts e Baker lo sa bene: forse per questo il suo sguardo è affettuoso, complice e lascia alla sua Anora la possibilità di ricominciare tutto da capo, forse con la persona giusta, finita la sbornia di una settimana sulle montagne russe.

Mikey Madison è chiamata ad un lavoro molto generoso, ma la dimensione fisica del suo personaggio non oscura la sua testardaggine e la prontezza con cui tiene test al terzetto dei russi e poi alla madre di Vanya.

Ma come ogni regista sa, i protagonisti di una commedia sono i comprimari: Karren Karagulian, Mark Ėjdel’štejn, Dar’ja Ekamasova, rispettivamente l’armeno Toros, il giovane irresponsabile Vanya e la madre feroce Galina.

Tra questi ci sarebbe anche il notevole Yuriy Borisov, già in Elena di Zyagintsev e poi esploso a Cannes 2021 con Scompartimento n. 6 e Petrov’s Flu. Ma il suo Igor ha una funzione diversa nell’economia del film. La sua è la classica goccia che erode la pietra. Peccato tuttavia che la sua scelta nel casting faccia intuire la svolta narrativa del finale, in un film che in ogni caso non brilla per originalità, quanto piuttosto nella capacità di raccontare squarci di un Paese in cui alto a basso convivono apparentemente vicini, ma restando in realtà lontanissimi.

Sorprendente.

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