Il capitale umano

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Il capitale umano **1/2

Tratto dal romanzo di Stephen Amidon, ambientato nel New England in cui vivono i broker ed i signori della finanza newyorkese, Il capitale umano è diventato un film di Paolo Virzì, ambientato in un immaginario paese della Brianza, in cui i genitori danno il peggio di sè e le uniche speranze sono riposte nella sensibilità di figli cresciuti troppo in fretta e costretti a fare i conti con le asprezze della vita.

Il film è diviso in quattro capitoli, tre dei quali dedicati ad alcuni dei protagonisti, Dino Ossola, Carla Bernaschi, Serena Ossola, mentre l’ultimo è intitolato proprio Il capitale umano.

Gli Ossola sono una famiglia borghese come tante. Il padre ha un’agenzia immobiliare, la nuova compagna, Roberta, è una psicologa che lavora in un consultorio pubblico, mentre la figlia studia in un prestigioso istituto privato.

I Bernaschi sono invece un paio di gradini più su. Giovanni è un finanziere d’assalto che lavora a Milano ed è responsabile di un fondo fiduciario che promette interessi del 30-40%.

La moglie trofeo, ex attrice di teatro, è Carla, perennemente insoddisfatta e indecisa. I due hanno un figlio che è tra i finalisti di un prestigioso premio scolastico.

Approfittando della relazione tra i due ragazzi, Dino Ossola, nonostante non ne abbia i mezzi cerca di entrare nel fondo gestito da Bernaschi.

Siamo nell’estate del 2010 e la crisi sta per arrivare impetuosa anche nel nostro paese, ma la speculazione finanziaria si intreccia ad un rovino incidente stradale il cui responsabile rimarrà nell’ombra.

Virzì non vuole fare un film di genere, non sembra davvero interessato ai risvolti thriller del romanzo di Amidon, quanto a raccontare ancora una volta le miserie e l’avidità della nostra borghesia.

Dino Ossola è un personaggio veramente mostruoso, con il sorriso untuoso e asimmetrico, desideroso di fare il salto di qualità, approfittando degli eventi.

La compagna Roberta, che pure sembra essere un personaggio positivo, al confronto, si rivela ancor più inadeguata, non riuscendo a comprendere davvero non solo la vera indole del marito, ma neppure i silenzi e le fughe della figlia Serena.

Quanto ai Bernaschi, il film regala uno spazio fin esagerato alla nevrotica Carla, annoiata da una ricchezza vuota e decisa a spendere un po’ dei soldi del marito per risistemare il vecchio teatro cittadino, grazie all’aiuto di un professore di cui diventa anche amante. E’ una Bovary in sedicesimo, a cui va la nostra simpatia, soprattutto quando il brusco professore la ripudia dopo averla usata.

Il suo personaggio non serve a portare avanti la storia. Il suo capitolo è pura digressione. Ed è un peccato che il film non ci mostri il punto di vista del marito Giovanni, finanziere senza scrupoli e padre glaciale e anaffettivo, disinteressato a tutto tranne che alla propria florida sopravvivenza.

Ben poco sapremo anche del figlio dei Bernaschi, sospettato di aver messo sotto un ciclista sulla via di casa, ma troppo ubriaco per ricordare i fatti.

Il film lascia invece molto spazio a Serena ed al suo rapporto con un giovane pieno di problemi, incontrato fuori dell’ambulatorio di Roberta.

E’ la chiave del giallo, ma è anche l’anello debole del film. Virzì qui diventa un po’manicheo dividendo i poveri ma belli, sempre sfortunati ed i ricchi e famosi impuniti e sorridenti.

Ai primi va evidentemente la sua solidarietà, ma anche una bella dose di tragedie e infelicità. Ai secondi Virzì riserva la frase chiave del film, quella usata anche nella campagna di lancio: avete scommesso sulla rovina di questo paese ed avete vinto.

Il capitale umano rimane così un buon film, che avrebbe potuto essere anche migliore, se Francesco Bruni e Francesco Piccolo, i due sceneggiatori, avessero lavorato di più sul racconto di Amidon e sui personaggi, non tutti perfettamente a fuoco.

Le polemiche sull’immagine della Brianza e sul Politeama, vero teatro di Como, chiuso da un decennio, lasciano davvero il tempo che trovano.

Il film non parla di una realtà provinciale, ma del paese intero, del suo volto meschino, della sua furbizia pelosa. Ma Virzì si adagia un po’, nella seconda parte, raccontando una storia d’amore maledetto tra i due giovani che ha un sapore troppo scontato e risolve il giallo senza alcuna tensione.

Bravissima l’esordiente Matilde Gioli, nel ruolo di Serena, l’intensità del suo sguardo non si dimentica facilmente.

Accanto a lei un Fabrizio Bentivoglio perfetto, a cui Virzì regala il personaggio più sgradevole della sua carriera.

Avremmo voluto sapere di più del Giovanni Bernaschi interpretato da Fabrizio Gifuni, mentre Valeria Bruni Tedeschi è Carla, la donna oggetto, contesa da tutti, tra idiosincrasie, nevrosi e ipocrisie.

Un’occasione colta solo a metà.

Più coraggio, Virzì, più coraggio!

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