Hype **1/2
“Appartenere ad un luogo significa avere un punto d’appoggio esistenziale, in senso concreto e quotidiano” scriveva l’architetto Christian Norberg-Schulz nel suo saggio Genius Loci (Electa). I giovani al centro del racconto della serie Hype vivono a QT8, municipio 8 di Milano. La voce narrante offerta dal rapper Ernia, originario del quartiere, illustra in premessa le motivazioni che accompagnarono la definizione urbanistica di QT8 nel secondo dopoguerra e poi l’accelerazione avvenuta con il successivo boom economico. Nell’impostazione utopistica dell’epoca, ogni classe sociale sarebbe stata invogliata a confluire in zone ben delimitate, comunque non separate dalle altre. Ne sarebbe risultato, secondo le intenzioni, un quadro unitario, “un meltin’ pot in miniatura”, senza barriere.
Gli imponenti palazzoni popolari, in origine destinati a operai e ceto medio, svettanti sulle casette da “villaggio svizzero” abitate per lo più da professionisti e commercianti, rappresentano ancora oggi la skyline di questa porzione di periferia del capoluogo lombardo. I palazzoni sono il luogo naturale di riferimento, il punto d’appoggio e anche di caduta di ogni attività dei protagonisti di Hype.
Nelle barre rap di Luca, il leader del gruppo formato anche da Marco e Anna, è raccontata la vita dura della gang di QT8. I tre appartengono a mondi contigui ma non esattamente sovrapponibili. Luca è figlio di un barista, Carlo, uscito da poco di galera dopo una condanna a tre anni per spaccio di droga. Marco proviene da un contesto familiare disgregato, con una madre, Daniela, un tempo fidanzata di Carlo, che a malapena riesce a sbarcare il lunario. Anna è la classica estranea, la “borghese” del quartiere, residente cioè fuori dalla zona “proletaria”. Suo padre è un affermato pianista, sua madre lavora all’estero. Ad Anna si presentano possibilità di carriera inaccessibili al resto dei suoi amici.
Come affermarsi nel ghetto senza rinnegarlo? La musica è il passaporto perfetto. I tre sono contattati dall’etichetta discografica Parsifal per un contratto che prevede la registrazione del loro primo singolo. Nello studio incontrano Fabrizio, un A&R (Artists & Repertoire), si sarebbe detto una volta un talent scout, che coltiva il sogno di diventare producer. Il rapporto professionale tra i milanesi della QTGang e il napoletano Fabrizio stenta a decollare. Il primo giorno di prove è un fallimento completo, a causa dell’eccessiva distanza tra le modalità di scrittura di Luca e le richieste di Fabrizio. I tre del gruppo si danno appuntamento ad un rave per quella stessa sera al Monte Stella, la “Montagnetta” artificiale di QT8, nata negli anni cinquanta utilizzando per la sua edificazione le macerie delle case distrutte dai bombardamenti. La mattina successiva, il corpo senza vita di Luca viene ritrovato poco distante. La serie assume subito tinte crime.
La violenza interpersonale nelle sue varie forme, il ricorso indiscriminato all’assunzione di droghe, la centralità delle piazze di spaccio in un contesto sociale degradato e ancora il controllo criminale esercitato sugli esercizi commerciali sono alcuni tra i tipici elementi della cultura urban e connotano anche Hype, al punto da aver suscitato la preoccupazione degli abitanti del quartiere, soprattutto quelli che hanno avuto modo di assistere alle riprese. Così, il Comune di Milano ha deciso di organizzare una visione dei primi episodi nell’auditorium locale, con la presenza dei cittadini e delle scuole, due giorni prima della pubblicazione delle puntate su Raiplay. I produttori, tra cui Silvio Maselli di Fidelio, in sede di presentazione (la serie ha esordito al festival “Alice nella città” di Roma), hanno rassicurato sulla volontà di fare cinema e non cronaca.
Per non discostarsi dalla realtà, la costruzione di Hype ha goduto della collaborazione di Ernia non solo sul piano strettamente musicale, ma prima di tutto rispetto al linguaggio utilizzato. Il progetto risulta radicato in QT8 fin dall’ispirazione. Libero Pastore, uno degli sceneggiatori cui si deve l’idea originaria, è cresciuto nel quartiere. La scrittura degli episodi si è avvalsa dell’apporto di Giulio Lepre, Emma Pistis e del più esperto Salvatore De Mola, vincitore di un David di Donatello nel 2016 per La stoffa dei sogni. Gli episodi sono stati girati, alternativamente, da Fabio Mollo e Domenico Croce. L’intuizione di virare in bianco e nero i momenti narrativi affidati alla star del rap italiano, quasi una presa di coscienza del quartiere chiamato a svelarsi da sé, avvicina Hype all’estetica di alcuni tra i migliori videoclip della storica scena hip-hop (quello di 99 Problems di Jay-Z su tutti). Il colore, viceversa, resta appiccicato addosso ai personaggi e agli eventi che scorrono.
La morte di Luca potrebbe segnare la fine delle velleità artistiche di Marco, vocalist in crisi d’identità e Anna, filmaker con un piede sull’aereo per New York City, destinazione una prestigiosa Scuola di Cinema. Il materiale a disposizione è grezzo e manca di una potenziale hit. La domanda principale è però soprattutto una: ha senso continuare senza di lui? Proprio Luca facilita la scelta ai due amici.
Nello smartphone si nasconde una sua improvvisazione, forse registrata la notte stessa dell’omicidio (camuffato da overdose). Marco la fa propria. Alla lettura del testo del nuovo pezzo, intitolato Buco nero, lo scetticismo di Fabrizio lascia il posto alla fiducia. Chi ha fiuto, capisce se una cosa può spaccare oppure no… Ma il music business ha le sue regole. Fabrizio lascia l’etichetta e prosegue in autonomia. Una sfida che significa rinunciare allo stipendio e alle comodità per dormire in un precario studio di registrazione.
Una take di Buco nero inizia a circolare in rete e il contagio diventa virale, le rime girano tra i casermoni, le scuole, i bar, i garage e le piazze di QT8, suscitando entusiasmo. È la colonna sonora di un luogo. Ogni membro della gang è citato. Ognuno può legittimamente sentirsi incluso nel brano, parte di una crew, fratello tra fratelli. Ecco il miracolo, compiuto da chi non c’è più: nella musica, il riscatto di essere nominati.
Cognomi del sud, seconde generazioni, zarri e maranza popolano il panorama di Hype, una serie in grado di cogliere lo spaccato delle attuali periferie con rispetto e sensibilità sociale. I protagonisti rivelano la loro appartenenza a una generazione con pochi soldi in tasca, legata visceralmente a TikTok e alle piattaforme dove si compra e si rivende. Sono giovani accomunati dalla disillusione verso il futuro, annoiati dalla scuola e devastati dall’assenza di reali prospettive di crescita. Per loro il quartiere è sia una gabbia sia un collante identitario. Ci si riconosce nei codici della strada, rifugiandosi in comportamenti non sempre legali (rubare nei centri commerciali è prassi).
La gang è concepita come un aggregato di varie provenienze. Jessica, che ha ereditato dal padre il talento di scassinare le serrature, è una ragazza colma di rabbia, conflittuale e dalla scorza dura. Notevole la scena del carrello della spesa, raccattato da Jessica per consentire ad Anna di girare il video di Buco nero con i giusti movimenti di macchina… Con Omar e Sarah, fratello e sorella di origini nordafricane, il maschile e il femminile si scontrano. Quando Sarah inizia a flirtare con Coma, un ragazzo fissato con il reselling di scarpe sportive, Omar cerca di frenarla, ricordando agli altri quanto droga, alcol e sesso siano poco conciliabili con i precetti islamici (haram, ovvero proibiti).
La comparsa di Nicola, trentenne sinistro ed efferato, parvenu arricchito dai gusti estetici discutibili, minaccia la compattezza e l’esistenza stessa della gang. Nicola è il “socio” di Carlo. Anna prova per lui un’attrazione pericolosa. Il desiderio complica tutto. Marco, gay dichiarato almeno nella sua cerchia, si innamora di Giacomo, un giovane randagio tenuto al laccio proprio da Nicola. Lacerato da un segreto inconfessabile, disperato eppure intimamente buono (“sono cresciuto in casa-famiglia, ho la terza media e precedenti penali”, confessa in una scena cupa e intensa), Giacomo sembra un personaggio uscito da un film di Claudio Caligari. Ma come è possibile, in certe situazioni, non essere cattivi?
Nella serie la musica rappresenta il confine tra il bene e il male. Per Anna, Marco e Luca, comunque presente anche da morto (un fantasma? un ricordo? un frammento di sé proiettato nel mondo?), la musica è espressione personale e collettiva, racconto del reale, testimonianza del vivere a QT8 e non altrove, legame reciproco fortissimo (“un fratello è per sempre”). Di gruppi rap promettenti ne sono bruciati a migliaia, però Marco e il suo mentore Fabrizio sono convinti che il successo della QT Gang non sia illusorio. Le visualizzazioni sono l’incontrovertibile unità di misura della popolarità.
Sul più bello, quando il sogno è in via di realizzazione, scatta la ritorsione. La musica scuote i palazzi e serve ad animare piazze prima deserte. L’ombra, che preserva comportamenti illeciti, non gradisce la luce dei riflettori. Nicola, anima nera e villain della serie, mosso da un istinto di possesso che si spinge ben oltre la gelosia, è il protagonista in negativo dell’esagerato finale. Momenti di inferno si alternano a squarci di paradiso, almeno intravisto. Una violenza sventata, uno scempio subito, una rivelazione dolorosissima non possono fermare l’ascesa al Monte Stella, palcoscenico del primo live di Marco. Il Virgilio di QT8, Ernia, vi compare da spettatore discreto. Finché uno sparo chiude il cerchio. O forse apre una nuova fase. Quella della maturità, raggiunta a caro prezzo.
Di particolare impatto risulta lo studio dello slang giovanile, reso in tutta la sua spigolosa schiettezza. Belle anche le riprese aeree dei monumenti maggiormente rappresentativi, per un pubblico che si presume internazionale, di Milano. Il Duomo, il bosco verticale e ancora San Siro sembrano monoliti piazzati sulla superficie di un pianeta lontano. Nel cast è doveroso segnalare i tre attori protagonisti, Gabriele Careddu (Marco), Martina Sini (Anna) e Lorenzo Aloi (Luca), senza dimenticare i bravi comprimari, Luigi Bruno (Fabrizio), Luka Zunic (Giacomo), Fabio Barone (Nicola), Alice Torriani (Daniela) e Alessandro Tedeschi (Carlo).
Hype supera il test di Turing della serialità italiana, quello che, nella maggior parte dei casi, fa spegnere la tv perché di fiction no, grazie, non ne vogliamo. Gli autori sono riusciti a rappresentare un modo di essere famiglia orizzontale, discutibile per molti aspetti, però spontaneamente basato sull’amicizia ed opposto alla disfunzionalità dei rapporti padre-figlio o padre-figlia (in crisi). Il limite sta nell’aver annodato i personaggi a doppio filo al crime, annacquando un po’, nello sviluppo della trama, il messaggio di speranza generazionale, che, nonostante tutto, filtra: dare espressione al disagio, insieme e a più voci, in tempi di isolamento algoritmico, è possibile.
Titolo originale: Hype
Numero di episodi: 8
Durata: 30 minuti l’uno
Distribuzione: RaiPlay
Uscita in Italia: 31 ottobre 2025
Genere: Drama
Consigliato a chi: ha stracciato un biglietto aereo all’ultimo momento, sa cos’è l’hangover e ne conosce il segreto, non ha paura di essere il terzo incomodo.
Sconsigliato a chi: ha fatto cadere la birra nell’amplificatore alla festa delle medie, si nasconde quando sente parlare di colletta, pensa che una caviglia storta sia sinonimo di boomer.
Visioni e letture parallele:
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L’odio ha compiuto trent’anni e non li dimostra: il film di Mathieu Kassovitz, premiato a Cannes per la miglior regia, è disponibile su varie piattaforme.
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Il documentario Something from Nothing: The Art of Rap prodotto da Ice-T, essenziale e ricchissimo di interviste, è disponibile gratuitamente su Youtube (https://www.youtube.com/watch?v=d_-xReCd2lw)
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Un viaggio fotografico per raccontare le periferie milanesi: Angelo Leonardo, Le Monde Ou Rien, Altana 2025.
Una metafora: i tasti immaginari.
