Una giovane donna vestita di rosso, rannicchiata tra le radici di un enorme albero. Quando si rialza la vediamo tendere il braccio guantato per raccogliere un bellissimo falco.
Siamo a Stratford nelle Midlands occidentali, proprio alla fine del 1500. Qui vive Agnes, con il fratello Bartholomew e la nuova famiglia del padre che si è risposato e ha avuto altri tre figli dopo la morte della madre.
William, il nuovo maestro di latino dei tre fratelli più piccoli si innamora di Agnes, della sua indipendenza, dei suoi modi scontrosi, del suo amore per la foresta: le parole sembrano mancargli ma quando Le racconta la storia di Orfeo e Euridice sembra conquistarla.
Contro le rispettive famiglie i due decidono di sposarsi, quando Agnes è incinta della loro prima figlia, Susanna. La vita agreste non si addice a William: la moglie lo comprende e convince la famiglia a mandarlo a Londra, dove potrà lavorare finalmente con una compagnia che trasformi le sue parole in qualcosa di inaspettato.
Nel frattempo, contrariamente alle sue profezie, Agnes mette al mondo due gemelli, Hamnet e Judith, che crescono scambiandosi i ruoli e le identità, in una sorta di giocosa simbiosi.
I ritorni a casa di William sono troppo brevi, ma la salute cagionevole di Judith sconsiglia lo spostamento della famiglia a Londra.
Quando la piccola si ammala di peste, il padre si precipita a casa da Londra. Non arriverà in tempo, ma il figlio perduto non sarà quello che credeva di piangere.
Proprio quando il dolore spezza inesorabilmente l’idillio familiare, l’annuncio della nuova tragedia di William Shakespeare spinge per la prima volta Agnes al Globe.
Il nuovo film di Chloé Zhao nasce dal romanzo omonimo scritto dalla scrittrice irlandese Maggie O’Farrell nel 2022. Prim’ancora della pubblicazione, la produttrice Liza Marshall ne opziona i diritti, chiedendo alla regista sino-americana di adattarlo per farne il suo prossimo lungometraggio.
Reduce dall’esperienza desolante de Gli Eterni per Marvel e dall’Oscar e dal Leone d’Oro vinti contemporaneamente per Nomadland, Zhao decide di affiancare la scrittrice portando sullo schermo una storia profondamente, intimamente commovente.
Hamnet le consente di esplorare i sentimenti più oscuri, legati alla perdita di un figlio, da una prospettiva che non è quella esclusivamente familiare del lutto e della sua elaborazione, ma che abbraccia la creazione artistica, il suo mistero, la sua forza poetica.
Nella parole della sua tragedia e dell’interpretazione dei suoi attori sulle assi del palcoscenico, William trova il modo di trasformare e sublimare il suo rapporto con Hamnet, cambiando le traiettorie della storia, costruendo nella finzione una relazione che il tempo non gli ha concesso di vivere davvero. Tradendo e riscrivendo il destino di un figlio perduto, trasfigurato in quello di un giovane principe di Danimarca, gli rende l’omaggio più grande che un padre e un poeta possano immaginare: la brevissima vita di Hamnet si incarna in un racconto eterno, capace di risuonare catarticamente nelle esistenze di tanti, non solo la sua e quella di Agnes.
Sotto il profilo stilistico, dimenticatevi la Zhao di The Rider o Nomadland, non c’è nessuna ruvidezza documentaristica, pochissima camera a mano: prevale una messa in scena classica, sorvegliatissima, molto elegante, che solo talvolta lascia fuori campo il centro della scena, capace di plongé e campi lunghi memorabili, come nell’addio tra Hamnet e il padre in partenza per Londra. Zhao si dimostra ancora una volta sublime nella direzione degli attori, scelti con meglio non si potrebbe, con Paul Mescal giustamente marginale e dimesso e Jessie Buckley inarrivabile per maturità espressiva, ricchezza drammatica e generosità interpretativa: il film poggia quasi interamente sulle sue spalle e lei lo sostiene senza una sola nota stonata, dosando commozione, determinazione, rabbia e costruendo un personaggio autentico, vivido.
Resta tuttavia comune ai suoi altri lavori lo sguardo un po’ alieno di Zhao sul mondo che racconta: lo era quando mostrava i cowboy contemporanei, come i radicali antisistema, così il gruppo di supereroi più vicino a delle divinità. E lo stesso accade in Hamnet: la Vecchia Europa di quattro secoli fa è, soprattutto all’inizio, una foresta arcaica, che nasconde i suoi segreti, materica e ancestrale.
La fotografia di Łukasz Żal (Ida, Cold War, La zona d’interesse), asseconda l’intensità drammatica del film e si gioca delle scelte dei costumi con Agnes sempre vestita nei colori caldi del rosso e dell’arancio, mentre William invece preferisce quelli freddi. Il montaggio è condiviso tra Zhao e il mirabile brasiliano Affonso Gonçalves, di solito impegnato con Haynes, Jarmusch, il nostro Carpignano, Salles e che tutti ricordano per la serie True Detective.
Se l’incipit del film di Zhao è costruito magnificamente attraverso la costruzione di un personaggio femminile di grande originalità, moderno e indipendente, ma anche legato a riti e credenze ancestrali, nella parte centrale il racconto del milieu familiare è invece piuttosto risaputo.
Tuttavia è nel lungo terzo atto finale a teatro che il film scioglie i nodi sapientemente intrecciati nel corso del racconto, lasciando emergere in modo significativo la dimensione più semplicemente emotiva e melodrammatica della madre Agnes, assieme alla straordinaria funzione catartica che la tragedia messa in scena da William riesce ad evocare in lei come nel pubblico. Improvvisamente una serie di eventi privati, diventano materiale incandescente condiviso con il mondo, trovando una funzione salvifica.
Lo stesso lavoro intellettuale di William, fino all’ultimo atto, è confinato sullo sfondo, meno centrale rispetto alla quotidianità della sua famiglia.
Davanti a loro – davanti a noi – c’è il gioco eterno della vita e il mistero della morte: impossibile non lasciarsi travolgere, soprattutto quando il padre assente William compare in prima persona in scena col volto dipinto di bianco nel ruolo del fantasma del padre di Amleto e poi riappare alla fine scambiando uno sguardo con Agnes ai piedi del palco. E’ in quel momento che il cortocircuito tra vita, teatro, cinema, letteratura, destino, memoria si fa insostenibile, sulle note – forse abusate, ma non meno efficaci – di Max Richter.
Non mancano anche prima, momenti di stupefacente bellezza, dal primo incontro fra i due protagonisti alla sepoltura del falco, alle stesse rappresentazioni familiari dei tre figli di William o al sacrificio di Hamnet nei confronti della sorella malata – “ti dono la mia vita”. Ma è in quel lungo finale che improvvisamente tutto acquista un significato e lo trascende.
Da non perdere. In Italia dal 5 febbraio 2026.

