Formidabile Franco Maresco.
A trent’anni di distanza dallo scandaloso esordio condiviso con Daniele Ciprì de Lo zio di Brooklyn, che esasperava sul grande schermo il microcosmo crudele e marginale di Cinico Tv, il suo ultimo lungometraggio, Un film fatto per Bene, è di nuovo alla Mostra di Venezia, a chiudere il concorso ufficiale con una nota di irresistibile ironia.
Costruito come i suoi ultimi lavori in una forma ibrida tra cinema, documentario e making of, film sull’ipotesi di un film, sulle sue riprese, sul suo fallimento e infine testimonianza della sua rinascita, è il più accessibile, divertito e tragicomico dei suoi lavori cinematografici.
Carmelo Bene è solo una falsa pista, un diversivo, un’idea presto allontanata.
In realtà questo è un film fatto per Franco, su Franco e con Franco.
Dopo che Andrea Occhipinti di Lucky Red ha accettato di produrre il suo nuovo film, Franco Maresco è sparito dal set siciliano dove stava girando in pellicola un lavoro su San Giuseppe da Copertino, di cui discutevano spesso Carmelo Bene e il maestro elementare Gaetano Mascellino nei loro incontri palermitani negli anni ’70.
Il santo volante – interpretato da un attore afasico – che era solito accompagnarsi ad un asino, sembra adattarsi perfettamente nella galleria di personaggi che da sempre riempie il cinema di Maresco. Ma il regista, al culmine di una crisi depressiva, si è reso irraggiungibile.
Sulle sue trecce si mette l’amico di sempre, Umberto Cantone, che si fa accompagnare dal tassista di fiducia del Maestro sui luoghi in cui è stato visto, prima di sparire.
La ricerca di Maresco è un modo per fare i conti con il suo lavoro, quello passato e quello lasciato a metà, con il suo stile, i suoi collaboratori, i suoi amici, i suoi complici, da Ciprì a Letizia Battaglia, dalle prime apparizioni alla TVM di Palermo a Rai3.
Maresco ne ha per tutti, continuando a fare cinema perché è “il solo modo per dare forma alla rabbia e all’orrore che provo per questo mondo di merda”.
Meccanismo narrativo sublime, riflessione personale e sul cinema di grande profondità e al tempo stesso di infinita amarissima ironia, Un film fatto per Bene è forse il film definitivo di Franco Maresco, quello in cui il suo metodo di lavoro – per una volta rivolto verso se stesso – è più riuscito, autentico, travolgente.
Si ride con lui e di noi sin dalla prima scena, si vola letteralmente con i suoi personaggi, in un film-saggio che è satira, invettiva, confessione, auto-coscienza, che contiene tutto il suo mondo, non esclusi i neomelodici, Gigi Marzullo e Berlusconi.
Consentiteci un abbraccio particolare al collega Francesco Puma, coinvolto in una lunga sequenza di quindici minuti, tra le più sadiche e divertenti del festival, per una sorta di rivincita personale e collettiva dell’autore contro i bistrattati e vanesi “critici” cinematografici.
Indovinatissima l’apparizione di Antonio Rezza, nei panni della morte in un omaggio/sberleffo bergmaniano.
Il film è un fuoco di fila di invenzioni, deviazioni, suggestioni, che lascia storditi: il talento e la genialità di Maresco scorrono qui senza freni. Un film fatto per Bene è qualcosa di completamente diverso da tutto quello che abbiamo visto sinora nel concorso veneziano.
Una volta i festival erano spazi franchi, in cui potersi confrontare con sguardi diversi, radicali, scandalosi, con quel cinema di ricerca, incurante della bella scrittura per immagini, delle tre unità e dei viaggi dell’eroe. Oggi è quasi impossibile imbattersi in talenti irregolari, coraggiosi e folli come quello di Franco Maresco.
Per questo non possiamo che esortarvi a scoprire il suo film in sala, distribuito fin da questa sera grazie a quell’Andrea Occhipinti di Lucky Red, che il film prende in giro senza alcun riguardo.
Scoprirete un film inconsueto, infedele, rigenerante.
Da non perdere.


Eh sì, viene voglia di vederlo subito. Lo farò, grazie.