Le mage du Kremlin *1/2
Scritto da Olivier Assayas con Emmanuel Carrère, a partire dal romanzo omonimo di Giuliano da Empoli, pubblicato da Gallimard e Mondadori nel 2022, Il mago del Cremlino si ispira alla vita dell’imprenditore, regista teatrale e politico russo Vladislav Surkov, ministro con Medvedev e consigliere di Putin fino al 2020.
Nel film, il protagonista prende il nome di fantasia di Vadim Baranov e Assayas ne mostra l’ascesa e la caduta, dal tracollo dell’impero sovietico all’allontanamento dal Cremlino, con l’artificio narrativo di una confessione al giornalista americano Rowland, invitato via internet nella sua sontuosa residenza privata.
Domande tuttavia non ce ne saranno: il film è tutto raccontato dal punto di vista di Baranov, prima giovane regista teatrale d’avanguardia, dirigente della tv Primo Canale, quindi consulente per la propaganda di Boris Berezovskij e infine al fianco di Putin sin dalla sua prima elezione nel 2000, accompagnandolo nelle crisi in Cecenia, in Ucraina e nel consolidamento del suo potere, anche grazie alla dottrina della “democrazia sovrana” da lui ideata.
Nel privato, Baranov si lega con l’attrice Ksenia, poi compagna dell’oligarca Dmitri Sidorov, fino al suo arresto e quindi di nuovo riavvicinatasi a lui.
Il film è girato tutto in inglese, nell’esperanto fasullo del cinema internazionale più pigro e omologato.
Il mago del Cremlino mette in fila realtà storiche e finzioni private, in un modo talmente vecchio e superficiale da lasciare interdetti. Soprattutto perché la storia che racconta è ancora pienamente in corso, affollando quotidianamente le cronache delle nostre giornate.
Il film è reticente, frammentato, parziale e persino un po’ complice, nella misura in cui la scelta del punto di vista abbraccia cinicamente una prospettiva tutta interna al potere tirannico che ha piegato la giovanissima libertà russa ad un nuovo imperio assoluto.
La cornice del racconto nel racconto è del tutto inutile perché al racconto di Baranov non c’è mai il contrappunto di Rowland, la dimensione privata del personaggio è poco più che un pretesto per mostrare alcune svolte politiche, lo stesso allontanamento dalla corte di quello che lui chiama Zar, rimane poco spiegata e un po’ nebulosa e mancano troppi eventi chiave che hanno segnato il regime di Putin, su cui la sceneggiatura glissa del tutto.
Politicamente ambiguo – a dir poco – Il mago del Cremlino è anche eticamente discutibile e manipolatorio, soprattutto nel finale, scegliendo una chiusura ad effetto che la realtà invece non ci ha mai consegnato e che ha riservato ad altri personaggi di questa storia, in modo assai più cruento.
Anche sotto il profilo cinematografico la coda appare pasticciata e poco credibile.
Assayas – regista raffinato e cinefilo – purtroppo si adegua ad una messa in scena televisiva, superficiale e ordinaria, divisa per capitoli con titoli inutilmente sensazionalistici, sprecando un Paul Dano che al personaggio non regala nulla se non una compostezza da algido architetto dell’orrore. Un orrore di cui peraltro non vediamo che la punta dell’iceberg. Del tutto pleonastica anche Alicia Vikander, in uno dei pochi ruoli creati in modo originale dagli autori, che aderisce tuttavia ad una pura funzione narrativa, costruendo una dimensione privata interessante e romantica all’ “eroico protagonista”.
Jude Law invece mi pare comunichi perfettamente i modi melliflui, glaciali e minacciosi del presidente russo, ma in questo film il suo è un ruolo da comprimario di lusso.
Un po’ come accadeva anche all’adattamento di Limonov, l’immagine della Russia a cavallo della caduta del Muro e poi negli anni del consolidamento del potere di Putin è ad uso degli occidentali, lontanissima dai documentari di Loznitsa, Gibney o Roher. Non si percepisce in alcun modo la brutalità, il terrore, la spregiudicatezza con cui Putin ha costruito il suo potere, preferendo mostrare l’immoralità asettica del consulente che teorizza strategie, mentre attorno a lui l’orrore resta muto.
Il mago del Cremlino è un film che assomiglia alle tre scimmiette sagge del santuario di Nikko: “non vedere il male, non sentire il male, non parlare del male”.
Inaccettabile.
