Venezia 2025. La grazia

La grazia ***

“Di chi sono i nostri giorni?”

E’ a questa domanda che il protagonista del nuovo film di Paolo Sorrentino cerca di rispondere alla fine di un incarico che l’ha visto resistere agli assalti della vita con tetragona impassibilità, tanto da guadagnarsi il soprannome di “cemento armato”.

Se non volete rovinarvi la sorpresa fermatevi qui, perché il mistero sui personaggi del nuovo film del regista de Il Divo e Loro, viene sciolto nella primissima scena. Il film esce il 15 gennaio per Piper.

Se invece volete saperne di più, eccovi accontentati.

Le frecce tricolori accompagnano nel cielo la trascrizione dell’art. 87 della nostra Costituzione che descrive il ruolo e i poteri del Presidente della Repubblica.

Mariano De Santis, il protagonista di questa storia, è un vecchio democristiano che è arrivato alla fine del suo settennato, nel semestre bianco in cui i suoi poteri sono affievoliti e in cui gli restano due grandi obiettivi: decidere se controfirmare una controversa legge sull’eutanasia su cui governo e parlamento hanno lavorato a lungo con sua figlia Dorotea, sua consigliera giuridica, e due domande di grazia, la prima di una giovane donna che ha ucciso il marito dopo averne subito la violenza insostenibile e la seconda di un professore che ha posto fine alle sofferenze della moglie malata di Alzheimer.

Mariano De Santis è stato giudice e professore di diritto, autore di un manuale di diritto penale corposo e quasi insormontabile per i suoi studenti.

Ha perso da otto anni l’amatissima moglie Aurora, conosciuta nelle brume piemontesi, dove la sua famiglia si era trasferita dalla provincia di Napoli. Accanto a lui la figlia Dorotea ha sacrificato la sua vita, per le scelte politiche del padre. L’altro figlio, Riccardo, è un musicista di formazione classica, ma vive in Canada dove scrive musica pop, dopo aver scoperto una leggerezza che la sua famiglia non sembra aver mai conosciuto.

Mentre Mariano è divorato dai dubbi sugli ultimi dossier che la figlia gli ha sottoposto, il ricordo di un lontanissimo tradimento della moglie sembra tormentarlo ancora di più. Il presidente sospetta di Ugo Romani, un antico compagno di classe, oggi Ministro della Giustizia e tra i papabili per succedergli al Quirinale, ma l’unica a conoscere il segreto di Aurora è l’amica Coco Valori, una critica d’arte che sembra la sorella impossibile di Jep Gambardella.

Il nuovo undicesimo film di Paolo Sorrentino conclude una sorta di ideale trilogia sul tempo e le malinconie delle occasioni perdute, che il regista ha inaugurato con l’autobiografico E’ stata la mano di Dio e ha poi proseguito con l’accecante Parthenope. Allo stesso modo è un altro dei suoi film che raccontano il potere, questa volta senza la pretesa di stravolgere una figura realmente esistente, ma costruendo un personaggio di pura fantasia eppure pienamente verosimile, vicino ai tanti servitori dello stato che hanno avuto l’onore di essere eletti alla più alta carica dello Stato.

Nei palazzi romani il cinema di Sorrentino sembra ritrovare una vivacità del tutto peculiare, sempre in equilibrio tra il sublime e il surreale. Soprattutto nella prima parte il film è assistito da dialoghi tra i più brillanti e affilati mai scritti dal regista, non solo nei confronti tra Mariano e  l’amica Coco, ma anche in quelli con la figlia Dorotea, con il corazziere Labaro con l’ambasciatrice lituana e con i politici che il Presidente è costretto a incontrare, per necessità di protocollo o per opportunità politica.

Il Mariano De Santis di Toni Servillo – per la settima volta protagonista di un film di Sorrentino – è un politico che ha vissuto il suo tempo prestando fede al suo soprannome, navigando le avversità del reale con una fiducia smisurata nella verità e nella sua capacità di mediazione. Arrivato alla fine del suo percorso, la figlia Dorotea sembra tuttavia spingerlo a mettere in discussione i suoi principi, sposando punti di vista diversi e abbracciando una leggerezza nuova che probabilmente è già dentro di lui, ma che emerge solo per la sua passione per l’hip hop di Gué Pequeno. Sì, avete letto bene.

Nel film si afferma che la verità che il diritto ci mostra sempre da lontano può apparire diversa quando ci sporca le mani con la realtà delle cose. E infatti sarà nell’incontro con i due omicidi che il Presidente maturerà una decisione imprevedibile, ribaltando le ipotesi formulate nei dossier.

Ma non è solo la dimensione politica che distingue il protagonista de La grazia. Come Parthenope ritorna a Napoli dopo averla abbandonata all’apice di una stagione effimera e dolorosa, replicando à rebours il movimento di Fabietto Schira, Mariano non può che ritrovare se stesso nelle nebbie piemontesi, lì dove il suo rapporto totalizzante con Aurora era cominciato e dove il ricordo si è avvelenato di rabbia, nel tentativo di scoprire l’identità di un antico amante occasionale.

La grazia allora non è solo il perdono presidenziale concesso ad un condannato, ma anche quello che si riserva a se stessi, nella riscoperta di una leggerezza nuova, che si nutre della bellezza del dubbio e di una consapevolezza inedita: arriva un momento della vita in cui i ruoli tra genitori e figli si invertono e sono i primi a dover seguire i secondi, sintonizzandosi su un tempo nuovo, che non si comprende fino in fondo.

Il congedo è affidato ad una lunga telefonata in cui i fantasmi del passato si sciolgono nella malinconia del ricordo. La coda invece ci riporta all’ironia sottile dell’inizio, tra sogni impossibili e freddure liberatorie.

Se E’ stata la mano di Dio assume il punto di vista di un figlio, di fronte alla perdita dell’innocenza e al confronto con l’età adulta e Parthenope sembra idealizzare il tempo magico della gioventù, La grazia invece ci trasporta pienamente in un’età diversa, quella della maturità, dalla prospettiva dei padri.

Il film, scritto quattro anni fa, è stato ispirato a Sorrentino dalla grazia concessa da Mattarella a un marito che aveva davvero ucciso la moglie malata di Alzheimer e soprattutto dall’idea che un interrogativo morale poteva essere il motore narrativo del suo nuovo film, come accade nei lavori dell’amato Kieslowski.

E’ del tutto evidente che il Presidente De Santis rappresenta a pieno un’istituzione dignitosa, magari conservatrice, ma rigorosa, giusta, severa. Forse una delle ultime che gode anche nella realtà di un consenso ampio e trasversale, in un microcosmo politico disturbante e desolante, in cui logiche infantili di potere e vendetta hanno spazzato via secoli di dottrina, di prassi e di speculazione filosofica.

Come ha detto Sorrentino si tratta di “un film d’amore, ma non solo per la moglie che non c’è più, ma anche all’amore per la figlia, per il diritto, per un modo di fare politica, legato al dubbio e al senso di responsabilità, valori che oggi come oggi mi sembra che la politica non incarni più”.

Diversamente dal solito, il regista ha raccontato che questa volta la storia ha avuto la precedenza sui personaggi e che la scelta di immergere i suoi protagonisti in una messa in scena elegante, sobria, fortemente geometrica, è quello che il film richiedeva, anche per rispettare la solennità dei palazzi del potere in cui è quasi interamente ambientato.

Da non perdere.

 

 

 

3 pensieri riguardo “Venezia 2025. La grazia”

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